“Ho giocato tanti derby ma quello di Milano è un’altra cosa. Una città sola con due squadre ricche di storia che giocano nello stesso stadio. È una cosa che, insieme a tante altre, fa di questa partita qualcosa di unico”. “Se non lo hai giocato non lo capisci veramente e, anche se lo hai giocato, non riesci a descrivere la forza, la passione e anche la pressione che accompagna questa partita. […] Poi se hai coraggio, se hai personalità, appena tocchi il primo pallone sparisce tutto, come avviene sempre nel calcio. Ma la vigilia del derby è diversa rispetto a tutte le altre partite, in cui tante volte devi cercare le motivazioni extra, giustamente; in questa è quasi l’opposto, devi rilassarti perché sennò rischi di essere travolto dalle emozioni. È un derby unico al mondo tra due società che in fondo si rispettano ma che hanno una rivalità incredibile, storica e bellissima”.
Basta per capire di cosa si sta parlando, di cosa significhi la stracittadina per antonomasia. Le prime parole sono di Ricardo Izecson dos Santos Leite, in arte, lui che ne ha dipinta tanta, Kakà. Le altre, le seconde, non sono di certo del primo che si fa impressionare, soprattutto per una partita di calcio. Lui, che di una partita di calcio, la quale si è rivelata tutt’altro, si è fatto protagonista, essendo una delle tante spine di uno Stato dai tanti volti e molteplici culture, confluite tutte sotto un’unica bandiera e che poi sono implose nella guerra più sanguinosa dell’Europa negli anni novanta. Il suo nome deriva da Demetrius Zvonimir, primo re di Croazia, la cui etimologia è suono di pace. Forse è proprio questo il Derby di Milano, una guerra fratricida, uno scontro tra due parti della stessa città ma che al suo interno non dimentica mai di essersi sempre fondata sul rispetto e sul vicendevole sfottò, inteso proprio come suono di pace. Anche se non è mancata qualche eccezione.
Quasi 120 anni di storia, quando la prima sfida tra le due squadre del capoluogo lombardo ebbe luogo nel campionato del 1909, tre a due per i rossoneri con le reti di Treré, Lana e Laich per il Milan a cui l’Inter rispose con le marcature di Gama e Schuler. Sono solo i primi cinque nomi di una sfilza di campioni, meteore, bidoni e stelle che all’ombra della Madunina hanno saputo rendere quest’incontro tra i più belli e suggestivi dell’intero panorama calcistico mondiale. Il Milan e l’Inter hanno diviso anche sociologicamente la città, nell’epoca dei muri e delle fazioni. I primi erano l’espressione del proletariato meneghino, i casciavit; i secondi invece erano i beniamini della medio-alta borghesia milanese, degli studenti, i cosiddetti bauscia. Vallo poi a capire il destino, in vista della caduta storica di ogni divisione e polarizzazione, che i rossoneri avrebbero fatto le migliori fortune con il massimo eponimo dell’essere bauscia.
Lo score totale tra le due compagini è di 232 partite giocate, divise in 85 partite vinte dai nerazzurri, 69 pareggi e 78 risultati a favore dell’altra metà rossonera della città. Una partita che non finisce mai, ogni incontro di anno in anno non è nient’altro che un tempo di un match ultracentenario. Diverse sono memorabili, come il 6-0 del Milan con doppietta di Comandini, il 4-0 che di fatto mise le ali all’Inter di Mourinho il 29 agosto 2010, solo per citarne alcune. È stato il paradigma di Milano sul tetto d’Europa, nel doppio confronto in semifinale nella Champions League vinta dagli uomini di Ancelotti a Manchester contro la rivale comune, la Juventus, per poi ripetersi due anni dopo, questa volta ai quarti di finale, quando i nerazzurri dovettero subire l’onta della sconfitta a tavolino dopo aver colpito, letteralmente, per via di qualche pseudo tifoso, Dida sulla spalla. Immagine di quel film, Materazzi e Rui Costa che si abbracciano e guardano il triste spettacolo.
Il derby, storia di gesti tecnici indimenticabili, come il colpo di Zapata all’ultimo secondo, quando questo big match era diventato ormai la serata di gala di due grandi e nobili casate rappresentate da cavalieri troppo umili da poter vestire e onorare quei colori. Quando entrambe annaspavano per trovare un posto in Europa, quella stessa Europa che qualche tempo prima dominavano e incuotevano timore. Il colpo di testa di Hateley, il tacco di Schelotto, sono scene che difficilmente verranno rimosse nel cuore di due grandi tifoserie.
Divisione certo, ma anche unione. Non tutti sanno che in pochissime e rarissime occasioni le due compagini si sono esibite sotto un’unica bandiera, quella del MilanInter. La prima volta risale al 20 settembre 1926 quando a Milano una rappresentativa cittadina, vestita in maglia granata, superò 4-1 una corrispettiva tedesca, per poi riunirsi molte altre volte, esibendo un roaster incredibile. Adesso che entrambe lottano per quello che gli spetta, un trono nel Pantheon calcistico italiano, la sfida assume se è possibile ancora più rilevanza, come accaduto lo scorso anno, quando gli uomini di Pioli e Inzaghi sono stati protagonisti di un testa a testa fino all’ultimo respiro che non si vedeva da anni, che ha messo pari la bilancia dei tricolori rossonerazzurri: 19 ai casciavit, 19 ai bauscia.
Chiamatela stracittadina, chiamatelo big match, insomma, etichettatelo come meglio volete. Provinciale e globalizzato, diviso e unito, pacifico e scontroso. Ma il derby di Milano, non sarà mai una partita come tutte le altre. Milan l’è un gran Milan, e lo sarà per sempre.