Ultimo aggiornamento 9 Marzo 2017 16:17 di
Tra i segni distintivi di una persona si può anche annoverare la camminata: se cammina sulle punte, se cammina scalciando, se avanza impettito o assorto in sé, a larghe falcate o a piccoli passi. Se invece sei Amantino Mancini, hai un solo modo di camminare: il doppio passo.
La storia di Alessandro Faioli Amantino, detto Mancini sia per il suo animo pacifico (“mansinho” in portoghese vuol dire appunto mansueto) sia per somiglianza con Roberto Mancini secondo un paragone del mostro sacro Toninho Cerezo, la conoscono tutti: una lunga permanenza all’Atlético Mineiro, intervallata da alcuni prestiti, prima dell’approdo alla Roma. Una sola stagione in prestito al Venezia in Serie B e poi diventa rapidamente un titolare tra i giallorossi.
Durante gli anni della capitale, Amantino realizza dei gol stupendi: il “tacco di Dio” contro la Lazio è ancora gelosamente conservato in tutte le cineteche internazionali. Ma un gol in particolare gli è valsa la stima di tutti gli addetti ai lavori.
6 Marzo 2007. La Roma affronta al Gerland il ritorno degli ottavi di finale di Champions contro il Lione; sorteggio non troppo benevolo, dal momento che si trattava di una squadra che poteva schierare Juninho, Ben Arfa, Karim Benzema, Abidal, Tiago e, non ultimo, Jérémy Toulalan. L’andata all’Olimpico era terminata con uno scialbo 0-0; i rischi di essere eliminati salivano ogni minuto di più. Tuttavia Francesco Totti, dopo una ventina di minuti, decide di aprire le danze; o la va, o la spacca.
Sul finire del primo tempo, però, succede l’incredibile: Taddei perde un pallone sulla fascia destra, lo recupera Cassetti che apre sulla sinistra. Pesca il liberissimo Mancini, che viene affrontato de Réveillère. Una finta. Due. Tre. Doppio passo. Il difensore francese è stordito e cade; Amantino, mansueto come il suo nome, calcia sotto l’incrocio. 2-0 e qualificazione ai quarti raggiunta, dopo ben 23 anni.
Poi l’arrivo di Mourinho all’Inter e l’acquisto di Mancini, anche se l’avventura milanese non sarà fortunata come quella romana; e poi il passaggio al Milan e quella controversa notte, per la quale è stato condannato a 2 anni e 8 mesi per molestie sessuali, pur proclamandosi sempre innocente. La verità non si saprà mai.
Quello che si sa è che forse, tra un dribbling e l’altro, Mancini ha dribblato anche sé stesso, lasciando sul posto una carriera che sarebbe potuta decolalre e che invece è rimasta ferma a quel Brasile che lo ha riaccolto.
Un anno nella sua squadra di casa, l’Atlético Mineiro, poi il prestito al Bahia, la cessione al Villa Nova, il passaggio all’América del Minas Gerais e poi ancora al Villa Nova, sua attuale squadra, in Série D brasiliana, dove sicuramente darà lezioni a tutti i suoi compagni su come fare un doppio passo, lasciando di stucco l’avversario di turno.
Spesso si parla di Sliding Doors del destino, porte che si aprono per un istante e permettono di cambiare completamente vita. Per Amantino è stato così: quella porta si è aperta al Gerland, ma lui non l’ha attraversata, non gli interessava. Ha dribblato anche lei e poi l’ha chiusa con una pallonata nel sette. Entrando comunque, di diritto, nella storia del calcio per la bellezza di quel gol.