Ultimo aggiornamento 25 Febbraio 2017 18:15 di
Quando Durmisi ha preso in mano la palla per battere la punizione, l’ha baciata. Le ha detto qualcosa, probabilmente “ti prego, entra dentro. Non farlo per me, fallo per tutta questa gente che ti sta guardando”. Lo stadio Villamarìn è una pentola biancoverde, pronta ad ebollire alla massima temperatura, per una vittoria che latita nel derby dal 2014, una vittoria triste e inutile, visto che nel ritorno il Siviglia riuscì a ribaltare la qualificazione ai calci di rigore. E’ tutto pronto, il tiro è basso, Sergio Rico non ci arriva: è l’esplosione di una gioia tenuta in gola per troppo tempo. Betis in vantaggio.
L’atmosfera del derbi sevillano è infuocata ed emozionante: un muro di tifosi invade lo stadio con i suoi colori, con cori prolungati che fanno tremare la città e la povera curva, ormai da mesi sotto forma di cantiere. D’altro canto la parte biancorossa non sta a guardare: una fiumana di tifosi accolgono l’uscita dei giocatori dall’hotel con lo sventolio delle sciarpe, ci vuole un gran servizio di sicurezza per evitare che l’onda di passione travolga i giocatori. Nessuno può perdere.
Il primo tempo finisce con l’euforia dei beticos, ma ci sono ancora 45 minuti da giocare.
Sampaoli non è certo uno che si arrende, o uno che sta a guardare: il suo Siviglia lo ha fatto per un tempo, non è disposto a fare da spettatore ancora. E’ l’uomo che non cede niente a nessuno. Nasri, dopo una prima parte di gioco invisibile, decide di cominciare a giocare a calcio, e la sua squadra macina come un trattore. I cuori palpitano in Andalusia, la voce cala: i danzatori fanno il loro spettacolo, gustarlo è la cosa migliore da fare, la paura è il male maggiore. Troppo da perdere, troppo da guadagnare: Siviglia deve avere un padrone.
Oggi, come spesso accade, sono i biancorossi ad esultare: 1-2 il finale, con Mercado e Iborra che rimontano il risultato. I betici devono ancora leccarsi le ferite: il loro destino li vede sempre alla ricerca di un’affermazione, contro i rivali che negli ultimi dieci anni hanno vinto coppe e derby (troppi). Anche oggi il Betis deve pensare: sarà per la prossima. I “cugini” (guai a chiamarli così da quelle parti), continuano a sognare, il primo posto è lì, momentaneo come il battito d’ali di una farfalla. Se Dio li assiste, forse non saranno più la squadra che vince sempre e solo l’Europa League