Molte volte, troppe volte, dimentichiamo l’importanza del tempo e il rapporto che – come esseri umani – abbiamo con esso. Pensate agli anni che si susseguono e agli avvenimenti che accadono nel corso degli stessi anni. Da secoli, ogni singolo anno, accadono avvenimenti che segnano in qualche modo la storia dell’Umanità.
IL MILAN DEGLI INVINCIBILI – Abbiamo deciso di prendere un anno in particolare: il 1986. Sono stati 365 giorni ricchi di avvenimenti, piacevoli e non: la sonda spaziale Voyager 2 scopre Cressida e Bianca (due satelliti di Urano), lo Space Shuttle Challenger esplode nella fase di decollo uccidendo i sette membri dell’equipaggio, in Ucraina avviene il disastro nucleare di Černobyl’, esce nelle sale americane Top Gun, film cult di Tony Scott. In Italia, invece, accadono due avvenimenti che cambieranno per sempre la vita di molte persone: esce in edicola il primo volume della serie a fumetti Dylan Dog e il Milan viene acquistato da Silvio Berlusconi. Di primo acchito potrebbe sembrare strano, ma i due episodi hanno qualcosa – anzi, qualcuno – in comune. Il Milan era sull’orlo del fallimento finanziario, quando il 21 marzo 1986 l’imprenditore milanese Silvio Berlusconi lo acquista e nel giro di pochi anni ne fa la squadra più forte del mondo. Il merito è da ricercare in una campagna acquisti da applausi e alla scelta di un allenatore esordiente nella massima serie, quell’Arrigo Sacchi che poi diventerà uno dei più grandi allenatori-innovatori di sempre, portando ad un radicale cambiamento nel calcio italiano. I nomi simbolo di quel Milan sono principalmente tre calciatori provenienti dall’Olanda: Frank Rijkaard, Ruud Gullit e Marco Van Basten. Nasce in questo modo, a detta di molti, “la squadra più grande di sempre”, “Il Milan degli invincibili”, “Il Milan degli olandesi”.
DONADONI E DYLAN DOG – Tuttavia, la dinastia berlusconiana non nasce direttamente con gli olandesi ma bensì con un italiano. Sì, esatto, la prima pietra posta sulle fondamenta del castello identificato con il Milan è rappresentata da un bergamasco: il suo nome è Roberto Donadoni, primo acquisto dell’era Berlusconi. Reduce da quattro ottime stagioni con la maglia nerazzurra dell’Atalanta, Berlusconi volle a tutti i costi Donadoni ed ebbe ragione perché poi Roberto divenne una colonna portante di quel Milan e anche della Nazionale. Ma torniamo per un momento all’altro avvenimento italiano dell’anno 1986. Ricordate? Dylan Dog. Cosa mai potrebbe accomunare il Milan di Berlusconi e l’uscita di una serie a fumetti? La risposta è: Roberto Donadoni. In che senso? Nel senso che l’alter ego di Dylan Dog è proprio Donadoni o viceversa, come preferite. Donadoni è il Dylan Dog del gioco del calcio e questo perché hanno molti tratti in comune: l’anno che li ha portati ad essere grandi è lo stesso (il 1986); i colori rossoneri: la maglia del Milan di Roberto e l’abbigliamento di Dylan (camicia rossa e giacca nera); le caratteristiche “tecniche”: chi legge i fumetti sa che Dylan ha molte doti che ne fanno un eroe: è abile nell’uso della pistola, ha grandi doti investigative, conosce i punti deboli dei suoi nemici, è un buon combattente corpo a corpo ed ha grandi capacità logiche. Rapportate al mondo del calcio, ritroviamo le stesse caratteristiche in Donadoni: è abile nell’uso del pallone (la pistola lasciamola a Dylan…), ha una spiccata capacità di leggere le situazioni, anch’egli conosce i punti deboli degli avversari, da calciatore aveva una buona tecnica nell’uno contro uno e possiede importanti capacità logiche. Ora ha senso dire che Donadoni è l’alter ego di Dylan Dog?
IL FALLIMENTO… – Dopo aver concluso l’esperienza da calciatore vincendo un numero imprecisato di trofei, Donadoni ha deciso di continuare la sua carriera nel mondo del calcio nelle vesti di allenatore. Come tecnico ha avuto, nel corso del tempo, molti alti e bassi, alternando momenti di massimo splendore a momenti di buio pesto. Encomiabili le esperienze a Livorno e Parma, da dimenticare quelle in Nazionale e al Napoli. A Livorno porta la squadra prima ad un nono posto (stagione 2004-05) e poi, l’anno successivo, si dimette quando gli amaranto erano in quinta posizione. Anche nei panni di allenatore emerge l’alter ego Dylan Dog. Perché? Dylan ha due punti deboli: soffre di vertigini e di claustrofobia. E anche in Roberto questi tratti vengono alla luce, soprattutto quando siede sulle panchine di Nazionale e Napoli. Assume la guida tecnica dell’Italia reduce dalla vittoria dei Mondiali 2006, il che significa che ha tra le mani la Nazionale più forte del Mondo in carica. Ciò significa che è al vertice, che si ritrova sul punto più alto di quel monte che è il calcio. Ma, ricordiamolo, Dylan Dog-Donadoni soffre di vertigini, e l’essere così in alto provoca dei problemi di equilibrio, la testa inizia a girare e, con i primi risultati negativi e una spedizione europea da dimenticare, Donadoni – inevitabilmente – precipita. Lo scenario si ripete a Napoli, ma qui è l’altro punto debole che emerge: la claustrofobia. All’ombra del Vesuvio trova un ambiente caldo, esigente, che ha bisogno di tornare ai fasti un tempo. Risultati positivi e critiche sono inversamente proporzionali: al diminuire degli uni aumentano gli altri. Piovono critiche che affossano Donadoni, che lo rinchiudono dentro una gabbia immaginaria che diventa sempre più stretta, dove manca l’aria, un ambiente – appunto – claustrofobico. Alla fine Dylan-Donadoni non resiste, l’ossigeno è finito e viene sollevato dall’incarico di allenatore dei partenopei.
…E LA RINASCITA – Ma Roberto non ci sta, conosce le proprie capacità e i due fallimenti non lo abbattono. Anzi, sono un motivo in più per fare bene nelle esperienze successive. E infatti è proprio ciò che succede. Nel 2012 assume la guida del Parma che è in crisi di risultati e alla fine della stagione si ritrova settimo in campionato; l’anno successivo fatica un po’ più del solito ma raggiunge l’obiettivo salvezza; ma è nel terzo anno alla guida degli emiliani che arriva la consacrazione: la squadra si piazza al sesto posto e raggiunge la qualificazione per l’Europa League. Poi, il buio. Vengono alla luce i primi problemi finanziari della società che portano prima all’esclusione dalla Coppa, l’anno dopo – invece – alla retrocessione e al fallimento. Attualmente Donadoni siede sulla panchina del Bologna dove, l’anno scorso, ha conquistato una salvezza tranquilla e condita da vittorie di prestigio contro Napoli e Milan e di un pareggio contro la Juventus che ne ha fermato la striscia di quindici vittorie consecutive.
Nella scorsa primavera si era parlato di un possibile ritorno sulla panchina azzurra della Nazionale ma Donadoni ha rispedito l’offerta al mittente, dichiarando di non essersela sentita per senso di responsabilità. Forse, ha avuto timore di soffrire ancora di vertigini e claustrofobia, oppure – più semplicemente – vuole restare in un ambiente tranquillo come Bologna dopo molte fatiche passate insieme al suo alter ego Dylan Dog.
Giuseppe Gerardi