Ultimo aggiornamento 29 Settembre 2016 9:25 di
E’ sempre difficile per un calciatore importante, per un campione capire quando è arrivato il momento di appendere le scarpette al chiodo. La scelta di ritirarsi dal calcio giocato deve essere accuratamente meditata perché rappresenta un atto di grande responsabilità. Che riguarda non solo il proprio corpo e la propria storia, ma anche gli appassionati di calcio in generale. Già. Forse i calciatori non lo sanno, ma per tutta la durata della carriera preservano una quota di giovinezza in chi ha la fortuna di ammirarli; e lasciare il calcio significherebbe far invecchiare di colpo tutti coloro che fino a quel momento avevano avuto l’illusione di essere eternamente bambini: se il tuo campione preferito gioca ancora, il tempo non passa. Anche solo per questo andrebbe ringraziato Francesco Totti, cui questo gioco di prestigio riesce da ben 23 anni.
Bandiera del calcio. Ma Totti è anche altro. Molto altro. Francesco Totti è l’ultima bandiera rimasta. Non solo della Roma, ma del calcio in senso stretto. Perché, vedete, il demone dell’omologazione che annienta le particolarità non ha certo risparmiato il mondo del pallone. Anzi. Nella maggior parte dei casi, i calciatori che oggi approdano ai massimi livelli a poco a poco disperdono le loro diversità per uniformarsi alle esigenze tecnico-tattiche e/o divistiche che impone il folle calcio attuale. E’ come se a un certo punto non parlassero più la lingua del loro luogo di nascita. Si imborghesiscono. In tutti i sensi. E sono privi di personalità sia in campo che fuori. Non hanno più la loro identità, bensì quella che gli attribuisce il demonio pallone. Totti, invece, rappresenta una delle rarissime eccezioni. Ha attraversato tre epoche calcistiche (anni ’90, 2000 e 2010) parlando, e in campo e fuori, sempre la stessa lingua: il dialetto romano. Nel bene e nel male è lui ad aver imposto il suo linguaggio al pallone. E quella che può sembrare una sua debolezza in realtà non è che la sua differenza.
Stile di gioco. Sebbene il calcio lo abbia arricchito a dismisura, Totti non si è mai imborghesito. E’ rimasto quel ragazzo semplice, timido e umile di Porta Metronia. E queste qualità rare sono anche le caratteristiche del suo stile di gioco. Nel calcio non c’è niente di più difficile che giocare semplice. E Totti in tutta la sua carriera avrà effettuato al massimo un paio di dribbling, non di più. Perché essere semplici e umili significa anzitutto conoscere i propri limiti e non perdersi in gigionerie inutili. A Totti basta il pallone così com’è, per questo non ne ha mai buttato uno, prediligendo sempre l’assist alla giocata personale. Quando si parla dei numeri strabilianti del Pupone si omettono volutamente gli assist perché semplicemente non si contano. Molto più agevole concentrarsi sui gol, che sono solo 306, di cui appena 250 in serie A. E che gol, realizzati indifferentemente con entrambi i piedi, che, all’occorrenza, ponno esse fero, quando serve scoccare un tranciante dalla lunga distanza; e ponno esse piuma, quando il cucchiaio appare la soluzione più logica per beffare il portiere.
L’indefinito. Ma talvolta i fuoriclasse, per essere sicuri di essere capiti da tutti, si vedono costretti ad effettuare delle escursioni nell’indefinito, e così, il 26 Novembre 2006, Totti realizzò quello che, per ora (sempre meglio essere cauti con i fuoriclasse), resta la sua gemma più preziosa. Quel tiro al volo a incrociare di sinistro contro la Sampdoria, ancora oggi, dopo dieci anni, rifugge infatti da ogni definizione, anche dialettale: non fu né fero né piuma. Tanto che i genovesi non faticarono a comprenderne l’indefinita bellezza. E laddove le parole mostrarono tutta la loro inadeguatezza, vennero in soccorso i gesti, cioè gli applausi scroscianti che tutto il pubblico di Marassi, in piedi, riservò al capitano giallorosso. Gli stessi applausi che questo meraviglioso campione tira dalle mani ogni volta che scende in campo a fare la differenza a colpi di dialetto e di bellezza. Anche oggi che ha 40 anni.
Luigi Fattore