Sacrificio, passione, dolore, capacità, perseveranza e rivincita. Se volessimo usare poche parole per descrivere Massimo Carcarino sarebbero certamente queste. Un nome già molto noto nell’ambiente calcistico in quanto collaboratore di alcuni dei migliori allenatori italiani del momento, quali Roberto De Zerbi e Alessio Dionisi. Il suo ruolo è quello del Match Analyst, figura ormai diventata indispensabile e sempre più centrale per ogni allenatore.
Nei prossimi giorni Massimo Carcarino svolgerà un corso specifico finalizzato all’insegnamento del ruolo, il primo corso da match analyst denominato “Un allenatore in video“. “Sarà una tre giorni concentrata sulla conoscenza del ruolo, imparare cosa serve per mettersi a disposizione dell’allenatore e l’utilizzo dei mezzi a supporto come software specifici – racconta Massimo Carcarino in una bella chiacchierata con Rompipallone.it –. Oggi saper leggere una partita, studiare l’avversario e dare spunti interessanti all’allenatore diventa fondamentale. Quello dell’analista, per come la vedo io, non può essere un ruolo con riporto di numeri e statistiche. Chiunque potrebbe farlo, invece è importante dare spunti al tecnico: punti di forza e deboli dell’avversario, conoscenza dei singoli calciatori e studio approfondito delle caratteristiche“.
Un corso formativo in tutti i sensi, anche nel comportamento che un buon collaboratore dovrebbe avere. “L’armonia di uno staff tecnico è importante, fa la differenza. Il match analyst è un allenatore a tutti gli effetti, che studia tramite video le squadre ed è in grado di esporre chiaramente ciò che si vede, dare punti di vista differenti, ma è importante ricordare che non bisogna mai cercare di scavalcare l’allenatore, le scelte sono sempre del tecnico. Noi dello staff dobbiamo essere di supporto.
Inoltre vorrei sottolineare come, soprattutto in Italia, si abbia un concetto sbagliato del match analyst: qualcuno pensa che senza aver fatto il calciatore ad alti livelli non si possa diventare un tecnico. Niente di più sbagliato. E di esempi di analisti, poi diventati allenatori ad altissimi livelli, ce ne sono tanti. Uno di questi è quello di Julian Neglesmann, che aveva cominciato la carriera come collaboratore di Tuchel. Ora si ritrova ad allenare il Bayern Monaco, uno dei club più importanti al mondo. Nel corso ci sarà un passaggio specifico su questo argomento: tutti gli allenatori devono essere anche analisti“.
“Un allenatore in video” è il primo corso da match analyst di Massimo Carcarino e si svolgerà dal 21 al 23 settembre in una speciale location: Villa Fernandes a Portici, in provincia di Napoli. Una struttura confiscata dalle autorità ai clan della malavita e oggi utilizzata anche per fini benefici e sociali. Restano ancora pochi posti disponibili per chi volesse iscriversi al corso (CLICCA QUI PER SAPERNE DI PIÙ).
Ma quella di Massimo è una storia anche privata estremamente emozionante. Fatta, come detto, di sacrificio ma anche dolore. La strada percorsa per arrivare ad essere uno dei match analyst più quotati in Italia è stata lunga, ma anche complicata. “Ho giocato in Eccellenza e nelle categorie minori, ero un difensore centrale che si adattava bene anche come terzino sinistro. Il fisico ben sviluppato da ragazzo mi ha aiutato, ma fondamentalmente sapevo di non avere le qualità necessarie per diventare un giocatore di altissimo livello. Ma già allora ero affascinato dal ruolo dell’allenatore. Ero solito prendere un taccuino e annotare tutte le informazioni relative alle squadre avversarie. Sono un classe ’86, ma già da ragazzo avevo una mentalità da tecnico. Al tempo non c’erano i mezzi sviluppati di adesso, ma lo studio dei dati e degli avversari per favorire la mia squadra mi ha sempre affascinato. Ce l’avevo nel sangue.
Ho iniziato il percorso da allenatore proprio a Portici, in una scuola calcio di alcuni amici. Gestivo un gruppo di ragazzi di 15-16 anni, ma contemporaneamente lavoravo nel campo della ristorazione. Dopodiché ho fatto un percorso con la Barrese, la squadra del mio quartiere: Barra (nell’interland napoletano, ndr). Fu una scelta di vita per stare vicino anche ad alcuni ragazzi che avevano difficoltà sociali, ma la ricordo ancora come una delle esperienze più belle della mia vita“.
Poi a 24 anni la scoperta più brutta: “Mi fu riscontrata una malattia. Dovetti fermarmi con l’attività e con il lavoro per intraprendere un ciclo di chemioterapie durato circa un anno. Ero ricoverato all’ospedale Cardarelli di Napoli, ma dal letto dell’ospedale continuavo a studiare. Ricordo un episodio risalente a maggio 2011: un infermiere con cui feci amicizia mi lasciò usare la sala relax di sera, cosa vietatissima al tempo, per farmi guardare la finale di Champions League tra Manchester United e Barcellona a Wembley. Allora il Barça era allenato da Guardiola, il tecnico che mi ha ispirato. Dopo la partita ero stanchissimo e mi addormentai nella sala relax, mi ritrovarono il mattino seguente: ancora ricordo la ramanzina che mi sono preso… (ride, ndr). Il calcio è sempre stato la mia vita.
Ho sconfitto la malattia e ho ripreso con la mia passione, prima con la squadra cittadina del Portici, dove ho svolto più un ruolo dirigenziale, ma il primo vero incarico è stato alla guida della formazione Berretti della Paganese. Il tecnico della prima squadra, mister Domenico Panico, mi aveva notato attraverso alcuni video che ero solito postare su una pagina Facebook che avevo creato e su cui ero solito pubblicare analisi tattiche. Spesso ci scambiavamo opinioni e quando si liberò un posto mi chiese se fossi disponibile. La sua vicinanza è stata importante, è un allenatore brillante e con idee di gioco davvero interessanti.
Sempre in quel periodo mi sono appassionato al modo di giocare del Foggia, allora allenato da Roberto De Zerbi. Ero solito pubblicare sulla mia pagina tantissimi video inerenti la sua squadra, con il tag all’account della società. Questo mi permise di entrare in contatto con lui e di parlarci. Ci siamo conosciuti così. L’anno dopo lui ebbe la chiamata del Benevento in Serie A e mi chiese di aggregarmi al suo staff: non ci pensai un secondo. Così ho iniziato il mio percorso al suo fianco, un’avventura professionale di primissimo livello. Roberto è uno dei migliori allenatori in circolazione. Con il Benevento retrocedemmo, ma esprimendo un gran calcio e con una rincorsa pazzesca nel girone di ritorno. La società del presidente Vigorito è davvero tra le più serie in Italia, avrebbero voluto tenere De Zerbi anche in Serie B iniziando un percorso lungo e duraturo, ma il nostro lavoro fu notato dal Sassuolo che ci chiamò. Il progetto era intrigante, di crescita e poi non si può dire di no alla Serie A. Accettammo e così abbiamo svolto tre anni di grande lavoro in neroverde.
Poi, lo scorso anno, anche per una scelta di crescita personale, De Zerbi decide di andare allo Shakhtar Donetsk in Ucraina. Io non me la sono sentita di seguirlo e le nostre strade si sono divise. Sono rimasto al Sassuolo lavorando al fianco di Dionisi. Al termine della stagione poi si è interrotto il mio rapporto con loro. Ho avuto tanti contatti e chiamate”.
Tra le squadre che si sono interessate a Massimo Carcarino, tra l’altro, c’è stato anche il Napoli di Luciano Spalletti. “È vero, lo scorso anno c’è stato qualche contatto, però poi non se n’è fatto nulla. Sarei stato orgoglioso di lavorare per la squadra della mia città. Il Napoli, per un napoletano, non è solo una squadra di calcio: è un pezzo di cuore, un pezzo di vita. Ora sono pronto per una nuova esperienza lavorativa, sto aspettando la chiamata giusta. Qualche contatto l’ho avuto, vedremo… Per ora sono concentrato sul progetto del corso ‘Un allenatore in video’, qualcosa a cui tengo particolarmente proprio perché sarà un progetto insolito e diverso rispetto ai classici corsi da analisti“.
Ovviamente, avendo a disposizione uno dei professionisti più interessanti del settore, non potevamo farci sfuggire l’occasione di parlare del momento del calcio italiano. “Devo dire che gli allenatori in Italia si stanno evolvendo. Gli staff sono composti da sempre più elementi proprio perché ognuno è preparatissimo in un settore specifico. Tra i tecnici più bravi in Italia oggi io ci metto Ivan Juric. Il suo modo di giocare forse non piace a tutti, io stesso preferisco un gioco più palleggiato, ma vedere le sue squadre è uno spettacolo. Che sia il Crotone, il Genoa, il Verona o il Torino sai sempre riconoscere l’impronta che dà alle formazioni che allena.
Il concetto di bel gioco è troppo soggettivo. Chi stabilisce cos’è il bel gioco, il possesso palla? Assolutamente no! Oppure i risultati? Neppure! Simeone, ad esempio, ha un gioco votato al non utilizzo dell’attrezzo da gioco: il pallone. Eppure ha vinto la Liga, ha fatto due finali di Champions League e ha vinto l’Europa League. Dal suo punto di vista il suo è il gioco più bello. Questo è il bello del calcio: ognuno ha una propria idea ed è legittimamente corretto seguirla.
Per me il bel gioco è dare un’impronta alla propria squadra, renderla riconoscibile allo spettatore a prescindere dagli interpreti e dai calciatori. Il calcio è l’unico sport in cui puoi vincere rinunciando all’utilizzo del pallone. Quest’aspetto rende questo gioco meraviglioso per me.
Apprezzo moltissimo anche Spalletti. Luciano è un allenatore in continua evoluzione, ha 63 anni eppure ha la voglia di imparare e apprendere di un ragazzino. E le sue squadre lo dimostrano, riesce ad aggiungere sempre qualcosa. Aveva ereditato da Gattuso un Napoli che giocava in maniera prevalentemente di palleggio, una squadra forte ma che aveva ottenuto scarsi risultati. Ha avuto la bravura si capire la forza della squadra e non l’ha smantellata, ma ha aggiunto a poco a poco le sue idee di calcio. Oggi il Napoli ha un gioco decisamente più verticale, ma è stato un processo lento e per fare ciò ci deve essere stato tantissimo lavoro nel corso della settimana. Mi piace molto il suo modo di approcciarsi al lavoro dell’allenatore.
Perché invece Max Allegri sta avendo così tante difficoltà? Partiamo col dire che parliamo di uno degli allenatori più bravi in Italia, un momento complicato lo passano tutti. Il problema più evidente nella Juventus credo sia la mancanza di identità di squadra. Come gioca la Juventus? Qual è l’idea per attaccare e difendere? Sicuramente giocare così tante partite non agevola trovare i meccanismi che servono, c’è bisogno di tanto lavoro in settimana. Invece quando giochi così tanto non puoi stare dietro a tutto, devi scegliere cosa sistemare e tralasciare altro. I dettagli fanno la differenza”.
Non potevamo approfittare per chiedere un parere in vista del big match di domenica sera tra Milan e Napoli a San Siro. Da una parte mancherà Rafael Leao, dall’altra Osimhen ed entrambe sembrano essere le squadre più in palla di questo inizio di stagione. “Mi aspetto una bellissima partita, sono due squadre che sanno cosa fare. Hanno un’idea di gioco, quella famosa identità di cui sopra, ben definita. Sono abbastanza convinto che al posto del portoghese, Pioli decida di schierare Krunic. Alle spalle di Giroud credo giocheranno lui, De Ketelaere e Messias. Senza Leao il Milan perde una buona componente di imprevedibilità, quindi penso che Pioli decisa di giocarsela in un modo differente.
Il punto di forza del Milan? Troppo facile oggi rispondere Tonali, Theo o Leao. Sono calciatori di un’altra categoria e lo vedono tutti. Per me il vero segreto del Milan sta nella coppia difensiva Tomori-Kalulu. Entrambi hanno fisico e corsa, fortissimi. Con quei due puoi permetterti di sganciare sempre un calciatore in più in zona offensiva, proprio perché sul lungo sono in grado di recuperarti. Se il Milan sta ottenendo questi straordinari risultati è soprattutto grazie ai propri difensori centrali. Tomori lo conoscevamo, lo seguivo già da qualche anno. Kalulu devo ammettere è stata una scoperta di Pioli: nelle giovanili del Lione faceva il terzino, invece lui l’ha trasformato in un grandissimo centrale.
Chi sostituirà Osimhen nel Napoli? Con Simeone tiri di più il collo alla difesa, ha strappi in grado di allungarla, seppur non abbia la velocità del nigeriano. Con Raspadori devi giocare più vicino alla porta avversaria, non è un giocatore da ripartenze o strappi. Per questo credo che Spalletti decida di partire con Simeone titolare e poi cambiare con Raspadori nel corso del match. Mi aspetto comunque una grande partita, tant’è che sarò a San Siro per gustarmela. Pronostico? Direi in equilibrio, ma lascio giusto un 5% in più di chance al Milan, giusto per il fattore casalingo. Avere 70mila persone a sostenerti ti dà una carica pazzesca”.
Chiusura su un talento che Carcarino conosce bene, avendolo avuto a disposizione per anni al Sassuolo e avendone visto la crescita da vicino, ovvero Giacomo Raspadori. “Parliamo di un talento purissimo, un predestinato del calcio. La sua crescita è stata esponenziale. Da noi al Sassuolo è partito come sottopunta, ha fatto anche il falso nueve. Ma parlare di lui come trequartista non è corretto: non ha il passaggio filtrante o l’assist tra le sue caratteristiche migliori, lui vede la porta e ha l’abilità di calciare benissimo con entrambi i piedi. Lui è una classica seconda punta. In futuro, quando avrà ancora più esperienza, potrà diventare anche un formidabile centravanti. Un po’ sulla scia di Mertens. Come il belga non sai mai se ti punterà sul destro o sul sinistro, sa calciare da fuori area e sta crescendo anche fisicamente. Ha messo su due gambe fortissime, merito del lavoro svolto al Sassuolo dove le strutture sono di primissimo livello.
Eppure la sua qualità migliore sta nel carattere: Raspadori è calciatore nella testa. È un ragazzo serio, ma allo stesso tempo simpatico e solare. Ha carattere, personalità. Se sbaglia non si abbatte, ma riprova la giocata. La sua sfrontatezza è ciò che serve per emergere nel calcio. Arriverà lontanissimo“.
Lontano come chi – come Massimo Carcarino – ha saputo arrivare lavorando con costanza, forza e sofferenza. L’ennesima dimostrazione di come il lavoro, se svolto con onestà e passione, alla fine ripaghi. Sempre.
RIPRODUZIONE RISERVATA
Pasquale Giacometti
This post was last modified on 15 Settembre 2022
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