Ultimo aggiornamento 26 Maggio 2022 10:33 di Vincenzo Boniello
“E ti diranno parole rosse come il sangue, nere come la notte, ma non è vero, ragazzo, che la ragione sta sempre col più forte“. Così iniziava una famosissima canzone di Roberto Vecchioni e sembrano calzare a pennello queste parole per il protagonista che ieri sera ha consegnato la Conference League nelle mani di Lorenzo Pellegrini, riportando la Roma al centro del villaggio e rendendola, seppur per pochi giorni, caput mundi.
Un figlio di Roma del tutto inaspettato. Nato a Massa, città che per i Romani era Ad tabernas Frigidas, luogo di sosta per viandanti in transito lungo la via consolare Aemilia che da Pisa conduceva a La Spezia, proprio dove Nicolò è cresciuto. Una storia ciclica, fatta di corsi e ricorsi di “Giambattistavichiana” memoria. Proprio lì vicino inizia la sua di storia, quella calcistica, muovendo i primi passi nella Virtus Entella. Del suo talento se n’erano accorti a Milano, sponda Inter, ma sono stati troppo precipitosi a non valutarne il talento nello scambio che poi ha condotto il Ninja Nainggolan sotto la Madonnina e Zaniolo all’ombra del Colosseo.
L’imprinting da grande il numero ventidue lo ha avuto sin da subito. Serata di gala il 19 settembre 2018, c’è da mettersi il vestito buono, quello che non tutti possono indossare in determinati palcoscenici e in determinate serate; il Bernabeu ed il Real Madrid, quello stadio e quella squadra che rappresentano il non plus ultra di questo meraviglioso gioco. In quella serata, nonostante il tre a zero a favore delle Merengues, la stella di Zaniolo comincia a brillare e a farsi ammirare nel firmamento europeo. Tuttavia ad ogni gioia e cosa positiva c’è il suo contrappasso: titoloni di giornali, pressioni e aspettative che a quell’età non puoi sostenere, non le devi sostenere. Durante la stagione comincia ad essere un perno per l’undici titolare di Di Francesco, fino alla sera dell’andata degli ottavi di Champions League, nella quale il talentino giallorosso scrive la sua di storia e quella calcistica italiana, con una doppietta ai lusitani diventa il più giovane calciatore italiano ad avere segnato una doppietta nella massima competizione continentale.
“Chiudi gli occhi, ragazzo, e credi solo a quel che vedi dentro. Stringi i pugni, ragazzo, non lasciargliela vinta neanche un momento. Copri l’amore, ragazzo, ma non nasconderlo sotto il mantello. A volte passa qualcuno. A volte c’è qualcuno che deve vederlo”. Parafrasando ancora il capolavoro del mitico Vecchioni, tifoso interista manco a farlo a posta. Le gioie sono il calice volto verso l’alto, l’amaro calice è quello rivolto verso il basso. Le cadute in questo mondo che dà e toglie troppo facilmente e senza farsi tanti scrupoli vengono viste come il punto da cui molto probabilmente non si può più risalire. Sta agli uomini, quelli veri, zittire tutti e tornare più forti di prima. Come Nicolò, che è caduto e si è rialzato più volte, prima nel 2019, poi nel 2020, poi lo scorso anno, salvo ritornare proprio in questa stagione nella partita con il Trabzonspor, segnando dopo più di un anno all’Olimpico nella gara di ritorno di una competizione che all’inizio sembrava la Carneade delle coppe europee. Vallo a capire il destino. Questa volta è diverso, c’è qualcuno che sembra venuto dal fato a far rifiorire Zaniolo.
El hombre del destino viene dal luogo più ad ovest dell’impero Romano, dalla Lusitania. Uno che ha molto a che fare con questa storia, un combattente, un vincente, un interista. Quasi come se Eupalla fosse in debito con il ragazzo spezzino nella sua storia a tinte nerazzurre, inviandogli colui il quale con quei colori ha scritto la storia non solo del club, ma del calcio. Josè Mourinho è il deus ex machina per Zaniolo, quello che gli risolve la vita. Lo coccola, lo bastona e lo fa rendere ed essere un big: il mago di Setubal queste cose le fa con poche persone, attenzione, si parla di persone, prima ancora di giocatori, perchè è a quelle che il tecnico portoghese si rivolge.
“Lasciali dire che al mondo, quelli come te perderanno sempre. Perchè hai già vinto, lo giuro. E non ti possono fare più niente”. Ieri sera c’erano troppi conti che il destino, così circolare e ciclico, tondo come un pallone da buttare in porta, dovevano essere chiusi. Quelli della Roma, che nelle sue due ultime finali aveva perso prima in casa contro il Liverpool in Coppa dei Campioni e poi con l’Inter in Coppa Uefa; quelli di Mourinho, di arrivare a vincere anche questa di competizione, arrivando ad essere non solo re di Roma, ma anche d’Europa; quelli della Barcaccia. Sì, la Barcaccia, la famosissima fontana che urlava vendetta per come era stata ridotta nel 2015 da alcuni tifosi, manco a farlo a posta, del Feyenoord. Allora quel pallone che ha le stesse fattezze del destino lo butta dentro lui, l’eroe giallorosso troppe volte accostato, ingiustamente, a chi a Roma ha scritto il suo nome a fuoco con quello della squadra, Francesco Totti. In comune con quest’ultimo ha la scaltrezza, la rabbia e quel cucchiaino che beffa tutto e tutti, come solo un figlio di Roma può fare. Allora, caro Nicolò, te lo meriti tutto: quell’Europeo mancato e che meritavi, ti ritorna sotto forma di finale continentale nella quale ti fai uomo partita, rendendoti immortale nel cuore immenso dei tifosi della Lupa, che come Romolo e Remo, ha allattato anche te. Sogna ragazzo, sogna: manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu.