“La gente va a Brighton per tante ragioni: per una vacanza al mare, una giornata fuori porte, un comizio del Partito Conservatore… ma non va lì per il calcio. Il Brighton non è un grande club, e non lo sarà mai.” Questo è ciò che scrisse Brian Clough, icona del calcio inglese, rammentando quel suo periodo alla guida dei Seagulls nella Third Division, la moderna League One.
Infatti, non tutti sanno che l’uomo che portò il Nottingham Forest dei miracoli sul tetto d’Europa passò un anno e poco più ad allenare quella squadra del Sud che tanto vincente non era. Anzi, per Clough il periodo a Brighton è stato un incubo. In campionato, perse 8-2 in casa contro i Bristol Rovers. In coppa, venne travolto 4-0 dal Walton and Mersham, squadra che militava nella quinta lega. In panchina, il rapporto con il suo vice Peter Taylor degenerò di partita in partita. E fuori dal campo, si isolò in una camera d’albergo e non si ambientò mai nella vita di una città così caratteristica.
Ma sarebbe interessante sapere che cosa avrebbe da dire, ora, sul Brighton and Hove Football Club. Già, perché la giornata di oggi ha marcato la fine di un’era. La fine di un periodo di fallimenti, delusioni, crisi, ostacoli e ricadute, speso nell’anonimato più oscuro nei meandri delle basse leghe inglesi. Oggi, 17 aprile 2017, il Brighton è promosso nella Premier League per la prima volta nella sua storia, 34 anni dall’ultima volta in cui il club si ritrovò a giocare nella vecchia First Division. E ancora non si sa se è un club tanto grande quanto Clough non pensava che fosse, ma a partire da agosto, potrà giocarsela con quelle squadre di campioni che grandi, non solo in Inghilterra, hanno dimostrato di esserlo.
È una storia complessa quella del Brighton, tanto lunga quanto emozionante. E sì, come capita spesso in queste situazioni, è un club che è arrivato alle stelle dalle stalle. Nel dicembre 1996, la società era sull’orlo del baratro sia a livello societario che calcistico, a 11 punti dalla salvezza, con un piede e mezzo fuori dalla Football League e in una situazione economica a dir poco precaria. L’unica soluzione per ripagare gli enormi debiti accumulati era quella di vendere ciò che a loro era più caro, ovvero lo stadio di casa, il Goldstone Stadium.
Alla guida tecnica subentrò un uomo, Steve Gritt, allenatore relativamente sconosciuto che era stato più recentemente al timone del Charlton Athletic. Alla guida della società, invece, ecco spuntare un altro personaggio chiave della vita a Brighton: Dick Night, uno dei capi della tifoseria, che aveva condotto la rivolta contro i precedenti proprietari scaturita dopo la vendita del tanto caro Goldstone Stadium. Nelle due stagioni successive, con Dick e Steve al timone, la squadra dovette giocare a Gillingham, distante 74 miglia: una trasferta anche per le gabbianelle.
Ma Gritt portò la squadra a 10 vittorie in 12 giornate, e un pareggio all’ultima giornata consegnò la tanto agognata salvezza ai Seagulls. Per il Brighton, era solo l’inizio di una lunga strada per la redenzione. La svolta arrivò nel 2009, quando Tony Bloom, altro tifoso sfegatato, assunse la maggioranza del club e investì 200 milioni di sterline per la rinascita della società, e – cosa più importante di tutti – fornì i soldi necessari per la nuova casa del Brighton, l’Amex Stadium, una dimora ospitante 30,000 persone immersa nel verde della campagna del Sussex.
Ed è proprio in uno scenario così caratteristico che il Brighton cominciò a scalare i gradini della gerarchia del calcio d’Oltremanica. Prima la promozione in Championship, poi i playoff per salire in Premier League, una, due, tre volte. In ogni occasione, sembrava una maledizione per i Seagulls: ottima regular season, sconfitta in semifinale play-off.
Il momento chiave sembrò arrivare nel 2015, quando per la maggior parte della stagione la squadra si trovava in cima alla graduatoria e in ottima posizione per la spinta finale. Ma una serie di risultati negativi, culminati con un pareggio all’ultima giornata che donò la Premier al Middlesbrough per virtu’ della differenza reti, portò il Brighton ai playoff e a un’altra sconfitta in semifinale.
Ma quest’anno è stata un’altra storia. Il manager Chris Hughton, l’unico uomo di colore alla guida di una squadra della Football League (!) ha forgiato una squadra di guerrieri che, settimana dopo settimana, ha dimostrato, semplicemente, di essere la migliore. Più del Newcastle di Benitez, che, paragonata agli altri team di Championship, è una squadra di marziani. Di top player, nel Brighton, non ce ne sono tanti: la loro forza è il team spirit, lo spirito di squadra. A parte uno, forse: Anthony Knockaert. Ricordate la pazza semifinale playoff Watford-Leicester, con il rigore al 93′ sbagliato dagli ospiti che scaturì un pazzo contropiede e il gol che regalò la finale al Watford di Zola? Ecco, Knockaert sbagliò quel rigore. Tra le fila del Brighton la filosofia del cadere sempre all’ultimo ostacolo sembra essere di moda: ma non quest’anno.
Knockaert è stato incoronato “Player of the Season” in Championship e al Brighton mancano solo 3 punti per essere incoronato campione della seconda lega inglese. Una favola, che la gente in riva a quella spiaggetta del sud dell’Inghilterra ha aspettato per anni. Il Brighton rappresenta, per tutti noi, il simbolo della gente che non molla mai, che sa che, prima o poi, un premio spetta anche a loro, indipendentemente dalla quantità di delusioni che hanno dovuto sopportare. Se volete, un po’ come il Leicester di Ranieri, ma meno pubblicizzato e sponsorizzato, e più autentico e iconico.
E comunque, per la cronaca, la promozione del Brighton è stata certificata dal pareggio dell’Huddersfield a Derby con il Derby County, che guarda caso è proprio la città dove è stato sepolto il buon Brian Clough. Chissà se qualcuno dalla costa del Sud, domani o dopo, deciderà di farsi un bel viaggetto a nord per ringraziare i tifosi del Derby e, perchè no, approfittarne per fare una visita alla tomba di Clough e lasciare un bigliettino con qualche riga di sfottò.
Sì, sarebbe stato proprio interessante sapere cosa avrebbe detto Brian su questa squadra. Perchè oggi il piccolo Brighton and Hove Albion di Hughton ha scritto una pagina nuova nella storia non solo del club, ma di tutto il calcio inglese. Il più bello del mondo.
Tommaso Fiore
This post was last modified on 18 Aprile 2017
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