Gli Elefanti. Vi siete mai chiesti perchè i calciatori della Costa d’Avorio vengono soprannominati così? È semplice: l’elefante è colui che, con le sue rinomate zanne d’avorio, dà ufficialmente il nome al paese. È il simbolo della Costa d’Avorio. E potrà anche non essere il re della giungla, ma è sempre una creatura maestosa, un animale sociale ma irrequieto, così irrequieto che il suo carattere può portarlo a sentirsi superiore a tutti, anche all’uomo.
E 39 anni fa nacque un elefante che, di superiore, ha tante cose. Siamo ad Abidjan, capitale non ufficiale della Costa d’Avorio, una delle località più densamente popolate al mondo. D’estate la città è un catino fumante, la gente boccheggia e i vestiti si incollano alla pelle in meno di sessanta secondi. Ma Didier il caldo non lo sente. Prende la palla e si dirige al suo solito parcheggio di fiducia, dove si diverte a dribblare le macchine e a usare i motorini come pali di una porta. Questo gioco non l’ha mai visto in giro, pensa sia un’invenzione dei suoi amici. Ma d’altra parte non devi per forza inventare qualcosa se vuoi essere il migliore.
Mentre il sole tramonta, Didier varca la soglia di casa col pallone in mano. “Tito, andrai a vivere da tuo zio” gli dice la mamma. Lei lo chiama così, Tito, perché ha una grande ammirazione per il presidente iugoslavo, Josip Tito. Anche se la parola Tito, nel nome Didier Yves Drogba Tébily, non compare. Un po’ come fecero i genitori di Cristiano Ronaldo con il presidente americano Ronald Reagan. Lo zio di Didier si chiama Michel Goba, è un calciatore professionista e gioca nell’Angouleme, quarta divisione francese. È un cambio di vita drastico per Didier. Ha solo 5 anni, la cosa non fa per lui. Dopo qualche mese, complice la nostalgia di casa, se ne torna nella sua Abidjan. Ma anche stavolta il soggiorno dura poco: entrambi i genitori vengono licenziati e Didier è costretto a volare ancora da suo zio, prima di trovare casa con i suoi nei sobborghi di Parigi.
È qui che Didier comincia a giocare a quel gioco strano, che poi scoprirà essere chiamato calcio, più frequentemente. Non frequenta nessuna scuola di pallone, è autodidatta. Comincia a giocare con il Levallois, squadra dilettantistica, e dopo essersi fatto notare come attaccante prolifico nella primavera, debutta anche con la prima squadra, segnando un gol. Ma Jacques Loncar, il coach, non gli dà fiducia e presto il ragazzino ivoriano si ritrova senza squadra.
Finita la scuola, Didier si trasferisce a Le Mans per studiare ragioneria, sempre col pallone in testa. Viene messo sotto contratto dal Le Mans, ma in 2 anni di permanenza gli infortuni gli impediscono di giocare con costanza, e con i problemi in famiglia di anni gliene servono 4 per cominciare ad allenarsi quotidianamente. Ma il Le Mans crede in lui. E anche lui crede in se stesso. A volte nella vita bisogna fare solo questo. Crederci contro tutto e contro tutti, perché nulla di ciò che rincorriamo è irraggiungibile.
Dopo due anni di alti e bassi a Le Mans, arriva il trasferimento a Guingamp, dove in metà stagione segna 3 gol e aiuta il club a scampare la retrocessione. La dirigenza è scettica e non è sicura di tenere quell’attaccante non così tanto giovane. Ma la stagione successiva arriva il tanto atteso exploit, anche grazie a un’altro ragazzo d’oro, un’ala di nome Florent Malouda. Drogba segna 17 gol in 34 presenze, issando il Guingamp a un settimo posto da record, e attraendo l’interesse del Marsiglia che lo compra per 4 milioni di euro.
Anche a Marsiglia è la stessa storia. 19 gol in campionato e 5 gol in Champions League gli valgono il titolo di migliore giocatore del campionato da parte dell’Assocalciatori francese, mentre i 6 gol in Coppa Uefa portano il Marsiglia a un’insperata finale contro il Valencia, poi persa per 2-0. Ma l’oro nero di Abidjan è ormai sulla bocca di tutti. E un magnate russo di nome Roman Abramovic, che ha recentemente acquistato una squadretta chiamata Chelsea, stravede per lui e vuole fare di tutto per portarlo alla sua corte londinese.
Un giorno sul cellulare di Didier arriva la chiamata di un numero col prefisso inglese. È José Mourinho. “Ti ho visto giocare. Sei un buon giocatore, ma se vuoi diventare un campione come Henry, Ronaldo, Van Nistelrooy devi giocare in Inghilterra, e nella mia squadra“. Punto e stop. Il giorno dopo, il Marsiglia cede a un’offerta mastodontica di 35 milioni di euro, e Drogba viene catapultato in una realtà che non sente “sua”, ma gli piace. Gli piace perchè “sua” la può far diventare. Ed è esattamente quello che fa nei successivi otto anni da leggenda.
Come punta centrale nel 4-3-3 di Mourinho, Drogba reinventa la posizione di centravanti, che negli anni passati era vista come una lavoro complementare tra due punte. Invece l’ivoriano si carica il peso della squadra sulle spalle, fa reparto da solo, e cambia il corso della storia del calcio inglese. Già, perché molto presto tutti gli allenatori in Premier scartano il 4-4-2 e si rendono conto che al posto di due attaccanti se ne può prendere uno, alto e forte fisicamente. Ma di Drogba ce n’è uno e ce l’ha solo il Chelsea.
Il resto è storia. Didier vincerà svariate Premier e coppe nazionali con il Chelsea, coronando anche il sogno della Champions League, in una partita pazza che lui stesso decise di portare ai supplementari con quello stacco imperioso di testa a due minuti dalla fine. Sir Alex Ferguson disse “per quanto mi riguarda, è lui che ha vinto la Champions, non il Chelsea”. E infatti, non solo in quella finale, è stato cuore e anima dei Blues, si è sempre contraddistinto per il cuore e la tenacia che ci mette, e per i gol belli, fortunati e pesanti che segna. Uno dei centravanti più forti della storia del calcio moderno, e secondo i tifosi del Chelsea, quello più forte che hanno mai visto dalle parti di Stamford Bridge.
Perché alla fine è tutta una questione di buttarla dentro, di scaraventare quella palla oltre quella maledetta riga bianca. Didier Drogba l’ha fatto non una, non due, ma 351 volte, incantando in Europa, in Cina, in America. Tutto quello che ha toccato l’ha trasformato in oro, ma non come Re Mida. E neanche come il Re Leone. Lui è, e sarà per sempre, Re Elefante.
Auguri Didier, 39 anni da leone. Anzi, da elefante.
Tommaso Fiore
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