Ultimo aggiornamento 17 Febbraio 2017 11:46 di admin
Crescere in Brasile non è facile. Tutti immaginiamo questo paese gioioso colorato e pieno d’amore dimenticandoci che non è tutto oro quel che luccica. Le favelas ti insegnano a crescere, ti fortificano e spesso ti mettono in guardia su ciò che la vita fuori potrebbe offrirti, ferendoti. I giovani brasiliani crescono con il mito di Pelé, il giocatore brasiliano più forte di tutti i tempi e tentano di emularlo per le strade di periferia. Un pallone su asfalti sterrati diviene il passatempo più prezioso che si possa desiderare. Lo si legge negli occhi di questi fanciulli che poco hanno se non la possibilità di cullare i propri sogni che spesso il destino divora in un batter d’occhio. Qui nasce e cresce un giovane aitante brasiliano, conosciuto come Adriano. Tra tutti quei bambini era quello che aveva doti che solo madre natura poteva regalare a coloro i quali
giudicava predestinati. Il piccolo cresceva e giocava e con il passare del tempo forgiava la sua anima con gol e prestazioni alle quali i maggiori club europei non rimasero indifferenti, fino ad arrivare da giovanissimo in Italia, all’Inter. In una amichevole estiva si ritrovò a calciare una punizione contro il Real Madrid, al Bernabeu. “La calcio io”. Tirò un siluro pieno di coraggio che si insaccò negli incroci dei pali. Da quel giorno, il mondo scorpì questo formidabile calciatore.
“‘Abbiamo trovato il nuovo Ronaldo’ pensai. Adriano aveva tutto: potenza, fisico, talento e velocità. La sua provenienza dalle favelas brasiliane però mi spaventò subito, perché conoscevo già l’effetto che poteva provocare una ricchezza improvvisa a chi non ha mai avuto nulla. Alla fine di ogni allenamento gli chiedevo cosa avrebbe fatto e dove sarebbe andato alla sera. Temevo che potesse imbattersi nelle difficoltà che ha poi incontrato” racconta un appassionato Javier Zanetti.
Il sorriso che aveva e lo sguardo dolce fecero innamorare tutti coloro che lo vedevano giocare, molti lo paragonavano a Ronaldo, altri addirittura pensavano potesse diventare ancora più forte. Il giovane con la sua allegria e voglia di spaccare il mondo andò prima a Parma, poi a Firenze per poi tornare all’Inter da protagonista. Mise assieme una quantità di reti favolose, dalla polvere di Rio si ritrovò ben presto nel cuore dei tifosi che lo acclamavano con il suo nuovo soprannome: “l’imperatore”. Così era conosciuto nel mondo, Adriano l’Imperatore.
Come in tutte le favole, qualcosa però, andò storto. Quel padre sempre presente che sin da piccolo lo aveva protetto dalla malvagità della vita, d’improvviso, morì. Black out totale nella testa del ragazzo. Da quel giorno, la depressione iniziò a scavare un solco dentro a quell’Imperatore che iniziò a sentirsi sempre più solo. Purtroppo furono poche le cose che si potettero fare, le prestazioni iniziarono a divenire scialbe col passare del tempo, il giovane perse il sorriso, quel sorriso che aveva fatto innamorare milioni di persone fece spazio a un’espressione nera come nera era quella sensazione di prigionia che solo il suo cuore poteva provare. Una prigionia di sentimenti, di emozioni. La morte del padre spazzò via definitivamente tutte le immagini di quell’Adriano esultante che tutti conoscevano. Cadde, cadde e ricadde ancora. Alcool, droghe, festini. Ricominciò a giocare, la Roma gli diede anche l’occasione di ricominciare dall’Italia, il paese che lo portò al calcio, ma con esiti che tutti noi conosciamo. Smise, riprese in Brasile, cadde e ricadde di nuovo.
“Suo padre sapeva come controllarlo e farlo rigare dritto, ma purtroppo, nell’estate 2004, poco prima dell’inizio del campionato, precisamente durante il Trofeo Tim, ricevemmo la notizia della morte del papà di Adriano. Sono cose che ti cambiano la vita da un giorno all’altro. Ricordo che lo vidi piangere a dirotto, gettare via il telefono e urlare all’impazzata. Da quel giorno io e il presidente Moratti lo prendemmo sotto la nostra tutela, come fosse un fratello minore. Ad ogni gol segnato da quel momento Adriano ha sempre esultato guardando il cielo, commosso con le mani rivolte in preghiera. Ma purtroppo, dopo quella telefonata Adri non è più stato lo stesso. Ricordo le sere che ho passato (sempre Zanetti, ndr) con Ramiro Cordoba provando a scuoterlo: ‘Tu sei un mix tra Ronaldo e Ibrahimovic, hai tutto per diventare il più forte del mondo’”.
Adesso il giocatore che tutti noi apprezzavamo lo ritroviamo solo nei ricordi o in quei video impolverati di malinconia che vediamo su internet e trovando consolazione solo dicendo a noi stessi di aver avuto la possibilità di vedere il primo Adriano, quello vero, l’IMPERATORE.
Zanetti, cosa non si perdonerà mai della vicenda Adriano? “Non siamo mai riusciti a fargli passare quella depressione. E pensarci mi fa ancora male”.
Emanuele Giubilei