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Federico Chiesa: un bambino diventato calciatore

QUANDO NASCE UN AMORE
Questa è una storia diversa dalle altre, questa è la storia di un bambino nato a Firenze e con il viola nel sangue, questa è la storia di Federico.

“Papà, da grande riuscirò a segnare tanti gol come fai tu?”. Chissà quante volte il piccolo avrà posto questa domanda a suo padre, quell’Enrico Chiesa che tutti noi conosciamo bene. Bomber di razza, giocatore universale che mise a segno gol stupendi con le più svariate squadre di serie A. Deve essere stato bello crescere sognando di poter diventare un giorno come il papà, amato dai tifosi. Riuscire ad esultare dopo un gol ed essere considerato un giocatore importante e con il cuore gonfio di passione e amore. Oggi quel bambino che sognava tutto questo, portando quel cognome nostalgico dietro alla maglia, è riuscito a realizzarlo.

 

IL PESO DEL COGNOME
Esser figlio di calciatori potrebbe essere un’arma a doppio taglio, i continui paragoni o il continuo sentirti associare sempre a qualcun altro potrebbe creare peso e imbarazzo soprattutto se sei giovane e sconosciuto ai più. “Giochi perchè tuo padre giocava”, “sei arrivato a quei livelli grazie a tuo padre”, ” tuo padre cosa ti dice dopo le partite?”. Ma tutto questo può venire meno se oltre al cognome e allo stesso sangue che scorre nelle vene si alternano anche piedi buoni, cuore e spirito di sacrificio. Tutto questo Federico lo sa, ed anche il suo allenatore lo ha sempre saputo facendolo debuttare a soli 18 anni contro la Juventus il 20 agosto scorso. Una volta per indicare il ruolo che il ragazzo ricopre in campo si utilizzava il termine “ala”, oggi divenuto “esterno offensivo”. Questo ruolo riesce a ricoprirlo alla perfezione riuscendo a far innamorare i tifosi che ad oggi inneggiano il suo nome, possiamo immaginare la sua emozione osservando la Curva Fiesole in delirio per lui con la stessa enfasi che veniva provata quando in campo a giocare era il suo papà.

 

CHIESA, TELLO E FIFA

Giovani e stesso ruolo, chissà il piccolo Chiesa cosa pensa di Tello. In una intervista nella quale gli veniva chiesto cosa pensasse di lui e delle scelte del mister rispose sorridendo: “Ma siamo matti? Quando ho conosciuto Tello la prima cosa che ho pensato è stata: oddio, fino a un mese fa ci giocavo a Fifa alla Play station. Lo avevo sempre in formazione ed era velocissimo. Un po’ come quando mi trovai contro Dani Alves. Avevo comprato anche lui a Fifa”. Oggi, proprio lui, nelle gerarchie dell’allenatore ha trovato uno spazio importante e non si tratta di video-games ma di calcio reale, quel calcio che sin da bambino vedeva in tv cercando di emulare il padre per i corridoi con una palla fatta di carta e sorrisi, quei sorrisi che ora vuole vedere stampati sui volti dei tifosi Viola ogni qual volta lo vedono scendere in campo.

“Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, lì ricomincia la storia del calcio”. Così diceva Jorge Luis Borges e così diciamo noi.

Il calcio è quello sport che ci rende liberi di immaginare di poter essere ciò che tutti vorrebbero. Liberi di correre in faccia ai problemi, calciare un pallone dando sfogo a tutto ciò che teniamo dentro ed esultare in faccia al destino beffardo che spesso ci ride alle spalle. Questo sport è aria pulita per i nostri polmoni e, per i più nostalgici, vedere un figlio d’arte giocare conferma sì che stiamo invecchiando, ma ci fà capire anche in prospettiva che questi ragazzi giocano perchè meritano e non perchè portano solo lo stesso cognome del padre.

Emanuele Giubilei

This post was last modified on 16 Gennaio 2017

redazione

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