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I soldi Cinesi compreranno anche i nostri sogni?

Il profumo del calcio di una volta. Un caffè e una schedina per fare 13. Ecco la domenica dello sportivo di un tempo, i giocatori non avevano sponsor e il loro unico obiettivo era quello di onorare i contratti che li legavano alle loro squadre. Non esistevano clausole o bonus, esisteva lo spirito di squadra e il sacrificio. Le telecamere erano poche, le radio… tante. Chi non poteva permettersi i canali a pagamento delle prime emittenti televisive passava le domeniche con le radio accese immaginando le azioni di gioco ed esultando assieme al telecronista aspettando poi ore dopo di vedere le azioni salienti in qualche programma televisivo.

I SOLDI A DISCAPITO DEI SENTIMENTI  

Quello era un calcio dove non vi erano i nomi sulle maglie dei giocatori, dove ci si allenava nei parchi, dove era difficile vedere squadre in ritiro dal venerdì, un calcio dove non esistevano i diritti d’immagine e non era immaginabile che in un futuro prossimo, i campioni potessero scegliere di andare a giocare in paesi come Cina, Australia o America. Oggi giorno sembra esser diventato tutto un business, dove sono i soldi a farla da padrone a discapito dei sentimenti, dei tifosi e addirittura della carriera stessa di giocatori che a 25 anni decidono di giocare in Campionati “minori” pur di guadagnare valanghe di soldi. Ma è giusto? E’ anche vero che il calciatore ha una sola carriera nella vita ma sottomettersi al denaro può risultare squallido per molti ma anche conveniente per altri.

I CINESI COMPRANO TUTTI 

Basti pensare a Tevez che nel 2010 disse ai microfoni: “Non ho più voglia di giocare. Sono stanco del calcio e delle persone che ci lavorano: ci sono troppi soldi di mezzo, non mi piace più” per poi passare in questa sessione di mercato a giocare in Cina per due anni alla bellezza di 38 milioni di euro annui. Da un Tevez ormai a fine carriera passiamo a giovani talenti come Oscar e Witsel , giovani e con ancora almeno 5/6 anni di calcio ad alti livelli che hanno preferito anch’essi trasferirsi in Cina, così come Gervinho, Hulk (quadriennale da 19,7 milioni annui), Teixeira, Jackson Martinez (triennale da 12,5 milioni a stagione) , Pellé, Ramires, Demba Ba, Guarin, Paulinho, Elkeson. Per giocatori che al solo profumo dei soldi hanno preferito seppellire amore, gloria e ambizioni ce ne sono altri che hanno preferito rimanere ben saldi nei campionati dove militano regolarmente seppur (immaginiamo) vacillando dinnanzi ad offerte mostruose, questi sono i casi di chi ha rifiutato la Cina e tra di questi spiccano i nomi di Hamsik, Gabi, Arbeloa, Llorente, Rooney e Daniel Alves.

 

LA MALINCONIA VINCE SU TUTTO

Zeman diceva : “Il calcio di oggi è sempre più una industria e sempre meno un gioco“, tristissima verità. Gli stessi calciatori dovrebbero rendersi conto di essere dei simboli per i più piccoli che li considerano dei veri e propri eroi ma purtroppo ai tempi di oggi sono rimasti ben pochi gli eroi che giocano solo per la maglia. Tornare indietro dove tutto era più semplice forse è impossibile ma nulla ci toglie il diritto di ricordarlo.
Chiudere gli occhi e rivivere la schedina fatta con il proprio papà che ti sussurrava la classica frase: “Metti al massimo due doppie perché altrimenti costa troppo“, ricordare i profumi del pranzo domenicale aspettando tutte le partite alla stessa ora e munirsi di radiolina sperando che il segnale regga. Tutto questo, per chi lo ha vissuto è e resterà sempre il vero calcio.

 

Emanuele Giubilei

redazione

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