Se Walter White – il protagonista della fortunata serie tv Breaking Bad interpretato da Bryan Cranston – avesse un alter ego nel mondo del calcio quello sarebbe senz’altro Diego Pablo Simeone. Il tecnico argentino negli ultimi anni è riuscito infatti ad aprire uno squarcio significativo nelle convenzioni granitiche del campionato spagnolo, vale a dire Real Madrid e Barcellona, elevando il suo Atletico a valida alternativa al duopolio. Imponendo le sue, di regole. L‘insediamento’ di Simeone è stato a dir poco rivoluzionario, tanto che fino al 2012 anche chi non seguiva la Liga aveva il 50% di possibilità di indovinare chi avrebbe vinto il campionato: per ‘colpa’ del Cholo negli ultimi tre anni ha dovuto accontentarsi del 33%.
Proprio come Walter White con la tavola degli elementi, allo stesso modo Simeone si è dimostrato un formidabile chimico con la testa, il cuore e le gambe dei suoi giocatori, ottenendo da questa mescolanza un ‘prodotto’ purissimo al 99% che ha regalato momenti di grande estasi agli amanti del calcio. I quali salutano sempre con grande gioia chi riesce nell’impresa di riportare il pallone alla sua essenza, cioè la rotondità, anche se il prezzo da pagare è un deficit di spettacolarità. Perché la squadra di Simeone in questi anni non ha certo puntato all’estetica, o quantomeno non all’estetica convenzionale fatta di tecnica, virtuosismi, possesso palla e tantissimi gol; ma ne ha, appunto, rivisitato il concetto.
Osservando criticamente l’Atletico Madrid del Cholo, ci si rende conto che la bellezza può assumere infinite forme, e che anche praticare un calcio difensivo può essere fonte di estremo godimento. Intanto va detto che il primo tassello per la costruzione di una macchina perfetta è il rispetto. Rispetto della superiore cifra tecnica degli avversari – Real e Barcellona, appunto – e soprattutto rispetto delle proprie armi a disposizione: il talento mancante viene infatti integrato dall’intensità, dal carattere, dalla comunità di intenti e dall’attenzione maniacale per i dettagli, gestione dei calci piazzati compresa. Tutti ingredienti che hanno generato un blocco unico in grado di vincere un’Europa League e una Supercoppa europea nel 2012, una Coppa del Re (2013), una Liga e una Supercoppa di Spagna nel 2014, e sfiorare addirittura la Champions League con il raggiungimento di ben due finali in tre anni, nel 2014 e nel 2016. Risultati assolutamente eccezionali per un gruppo di giocatori che sul piano squisitamente tecnico in campo europeo è inferiore ad almeno otto squadre. Ma, appunto, la tecnica non è tutto se a guidarti c’è un chimico consumato come Simeone.
Il problema è che per raggiungere una purezza pari al 99% idonea a contrarre la fisiologica riespansione delle convenzioni, ogni ingrediente deve stare al posto giusto, rispettare la propria percentuale senza invadere quella degli altri. Purtroppo è quello che sta avvenendo nella stagione in corso, in cui l’Atletico Madrid non sembra più quel blocco unico così ingombrante per il duopolio di cui sopra. La sensazione è che abbia sconfessato un po’ il proprio credo difensivo cedendo ad un’improvvisa sete di spettacolarità che non gli è connaturale, ciò traducendosi in una vera e propria crisi identitaria. E di risultati, almeno in Liga – in Champions la vittoria del girone ha garantito un sorteggio favorevole: Leverkusen agli ottavi – , in cui occupa la sesta posizione a ben 9 punti dalla capolista Real Madrid (che ha una partita in meno), e che prima della partita di sabato aveva totalizzato quattro punti nelle precedenti cinque, con sonore sconfitte nei match contro i Blancos e contro il Villarreal, persi entrambi per 3-0, denunciando evidenti limiti nel costruire ma soprattutto nel difendere.
Le crepe del Cholismo hanno trovato in parte conferma anche sabato nella partita contro il Las Palmas, in cui i Colchoneros hanno sì attaccato, ma senza criterio e senza la dovuta cattiveria. Tradendo la concretezza con la giocata forzatamente spettacolare. Si vedano due occasioni sprecate da Gameiro, che invece di battere a rete ha preferito, sbagliando, servire Griezmann, che ha allungato il suo digiuno da gol a ben 769 minuti: se l’attaccante francese intende battere il record di Tomas Muller, arrivato a 999 minuti senza reti, la strada è quella giusta. Ma il problema principale è la perdita quasi totale della compattezza di squadra, con giocatori che sembrano spaesati e inclini a pestarsi i piedi, come spesso è capitato allo stesso Griezmann e Saùl, per esempio. Tuttavia, mentre prendeva sempre più corpo l’ennesima delusione – il Las Palmas aveva gioco facile sugli esterni e iniziava a rendersi pericoloso – è arrivato proprio il gol di Saùl, uno degli uomini più deludenti rispetto alla passata stagione, che però già aveva dato dei segnali di risveglio colpendo un palo nel primo tempo. Con un missile di sinistro dal limite dell’area al 59’ ha portato in vantaggio l’Atletico e di fatto gli ha consegnato i tre punti. Una vittoria sofferta oltre il dovuto che non cancella tutte le domande circa la fine del Cholismo, ma che le rinvia a dopo la sosta. La ripresa del campionato contro l’Eibar e soprattutto il cammino in Champions ci diranno se questa fortunatissima serie tv calcistica con il chimico Simeone protagonista è giunta al capolinea o meno. In caso affermativo, vorrà dire che inganneremo la nostalgia con uno spin-off: Better Call Saùl.
Luigi Fattore
This post was last modified on 20 Dicembre 2016
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