“Zidane più bello che utile.” Così sentenziò l’Avvocato Agnelli nel 2001 subito dopo la cessione dell’asso francese al Real Madrid; non senza un pizzico di ingenerosità verso un fuoriclasse che fino a quel momento pure aveva vinto due scudetti, una Coppa Intercontinentale, un Mondiale e un Europeo. Da protagonista assoluto, si intende. Ma l’Avvocato andava capito. Non solo in quanto membro del ristrettissimo club delle persone che possono dire tutto, ma soprattutto perché non capita certo tutti i giorni di avere tra le mani un assegno a dieci zeri (150 miliardi di lire) come corrispettivo per un giocatore pagato appena 7,5 miliardi cinque anni prima. Oltretutto si andava incontro all’euro, per cui un’operazione del genere aveva tutta l’aria di restare nella storia, così come in effetti è successo.
Sennonché alla trasposizione sul terreno di gioco del suddetto ristrettissimo club apparteneva anche Zidane, che, coi piedi, poteva (e può) dire tutto. Ma proprio tutto. Infatti, appena un anno dopo, trovò il modo di unire in matrimonio i due binari paralleli originati dalla sentenza dell’Avvocato, bellezza e utilità, e decise la finale di Champions con una magia al volo cui ancora oggi ogni amante del bel calcio rivolge dei pensieri: un classico della letteratura sportiva che ancora non ha finito di dire ciò che aveva da dire, per dirla alla Calvino.
Ma nonostante Zizou vivesse di luce propria e fosse sempre presente quando si trattava di scongiurare le crisi matrimoniali tra bellezza e utilità – non di rado capitava che una delle due volesse primeggiare sull’altra –, non era rimasto indifferente alle parole dell’Avvocato, le quali non erano altro che un corollario del più generale dogma bonipertiano: “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.” Una volta indossati i panni dell’allenatore, infatti, Zidane ha spezzato quel legame a lui tanto caro, e alla bellezza ha preferito l’utilità. Già, per dirla in spagnolo, l’ex fuoriclasse francese è un allenatore resultadista, che punta cioè al risultato più che a divertire i tifosi e i dirigenti.
Il suo Real non esprime un grandissimo calcio. E’ una squadra attendista che lascia volentieri il pallino del gioco all’avversario, ma che al momento opportuno sa essere letale. Con questo approccio ha intrapreso una intensa e passionale relazione con l’utilità che dura da ben 35 giornate, record d’imbattibilità per la Casablanca, e che al momento lo colloca ad appena quattro lunghezze dal record assoluto (spagnolo) del Barça di Luis Enrique (39 partite senza sconfitte), che capitolò il 2 aprile del 2016 nel Clasico (1-2). Indovinate chi c’era sulla panchina del Real? Sì, avete capito bene: Zidane. Sin da quella partita il francese aveva mostrato doti da gran stratega, in quanto cedette volentieri la bellezza ai catalani tirando fuori dai Ronaldo e dai Bale un’utilità prima insospettabile, perché fino ad allora mai li avevamo visti in un ripiegamento difensivo. In quel momento della stagione la Liga era già compromessa, però alla fine arrivò la Champions League, l’Undécima per le merengues.
Anche nella stagione in corso, iniziata con la conquista della Supercoppa europea, Zidane sta confermando quanto di buono aveva promesso, nonostante abbia dovuto far fronte a diversi infortuni: Kroos, Morata, Modric, Casemiro, Benzema, Ramos e Bale. Eppure il francese non si è scomposto più di tanto, responsabilizzando giocatori meno utilizzati che attraversavano delle vere e proprie crisi di identità, si pensi a Isco, Lucas Vasquez e Kovacic, tanto per citarne qualcuno. La sensazione è che il gruppo sia coeso spiritualmente e tatticamente, come dimostra il successo ottenuto il 19 novembre scorso al Calderon contro l’Atletico di Simeone. Punito per il solo fatto di avere rinunciato al solito approccio difensivo, in luogo di una improvvisa tracotanza: il 4-4-1-1 esibito da Zizou con Bale e Lucas Vasquez più bassi ha liberato il talento di Isco e il killer instinct di Cristiano Ronaldo, autore dei 3 gol decisivi, con il conseguente annichilimento dei Colchoneros.
Non solo tattica e pragmatismo, ma anche cattiveria agonistica e fortuna. L’ultimo match contro il Deportivo (3-2) è paradigmatico, in tal senso. Forse la peggior partita del Real targato Zidane, che per l’occasione era privo della BBC e di Modric, scelte operate anche in vista del Mondiale per Club. Nonostante questo l’utilità non ha subito alcuna dequotazione. Grazie agli apporti partecipativi del giovane Mariano e del solito Ramos, con cattiveria da vendere e un pizzico di fortuna tipici dei vincenti, i Blancos hanno infatti ribaltato nei minuti finali una situazione complicata e punito oltre i propri demeriti il pur coraggioso Deportivo. Così come l’allenatore Zidane ha ribaltato la sentenza dell’Avvocato.
Luigi Fattore
This post was last modified on 13 Dicembre 2016
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