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Arrivederci, Stevie G: captain, leader, legend

Per noi la notizia non è arrivata neanche tanto come una sorpresa. Più che altro, è servita a smuovere il pianeta del pallone, a mobilizzare tanti personaggi che hanno fatto la storia del calcio, e a creare quella sensazione malinconica di fine di un’era. Perchè essenzialmente, in Inghilterra, oggi ci si sente così, dopo che Steven Gerrard ha deciso di lasciare il calcio giocato. Ormai era nell’aria, date le tante speculazioni dei media nei giorni scorsi. Niente Inter o Milan, niente panchina degli MK Dons, niente ritorno romantico al Liverpool, che forse avrebbe riscaldato il cuore di tutti gli appassionati del gioco più bello del mondo, ma sarebbe stata una avventura rischiosa e forzata.

Non staremo qui a parlare della sua carriera stellata, di ciò che è riuscito o non è riuscito a raggiungere. Di quello se ne è già parlato troppo mentre giocava, e forse il tutto gli metteva addosso una pressione non voluta e non necessaria. Il suo trofeo più grande è stato quello di rimanere con una sola maglia e, quando si è sentito di non essere più utile alla sua squadra del cuore, si è messo in disparte e ha fatto una scelta di vita. La storia d’amore tra il ragazzino di Whiston e i Reds dura dal 1998 ed è ancora una delle più belle che si siano mai viste su un campo da calcio. Steven Gerrard incarna l’essenza di essere di Liverpool: spirito di gruppo, sacrificio, voglia di vincere.

Ma il suo addio non è stato uno di quelli pomposi, emozionali, commemorativi, strappalacrime alla Maldini o Inzaghi. Non c’è stata nessuna partita di addio, nessun bagno di folla, nessuna sciarpata, sbandierata, “magliata”. Nessun tifoso in lacrime ripreso in diretta TV, nessun giro di campo con i figli, niente guard of honour, niente compagni di squadra con la sua maglietta indossata al contrario, niente striscioni di ringraziamento, bandiere e stendardi.

Invece, il tutto è arrivato in una fredda mattina di fine novembre. Quando il campionato di MLS è giunto alla fine e Gerrard medita sul prossimo passo da compiere nella sua carriera calcistica. Ufficialmente, l’ultima partita giocata da Gerrard è stata quella valevole per i play-off contro i Colorado Rapids, condita da una bruciante sconfitta ai rigori, croce e delizia della sua carriera. Ma comunque una festa d’addio non sarebbe servita. Perchè alla fine l’ha già avuta due anni fa, quando la carriera di Stevie G si è conclusa, seppur non ufficialmente. La data coincide con il 17 maggio 2014, gara di Premier League contro il Crystal Palace: la sua ultima partita ad Anfield, che come lui stesso ha definito, per lui significa “casa”.

“A una certa età il corpo comincia a parlarti, cominci a sentire tutti i dolori e le fitte più regolarmente, e quando sei in campo ti senti in un modo diverso,” ha detto Gerrard in un’intervista esclusiva ad un altro personaggio storico del calcio inglese, Gary Lineker. “Nei due anni appena trascorsi mi sono sentito andare più a rilento. Essenzialmente non sono riuscito a fare ciò che riuscivo a fare prima e col passare del tempo tutto ciò diventa un pò frustrante. Ci sono stati alcuni momenti quando ho pensato oggi non ho giocato bene, o quel mio avversario è stato più bravo di me. E queste sono cose che non mi piace pensare“.

Insomma, anche lui è umano. Gli scricchiolii della vecchiaia, i dubbi sul rendimento e sul contributo alla squadra. Per un calciatore, appendere gli scarpini al chiodo vuol dire tante cose. Ma in questo specifico caso per Liverpool significa anche di più. Oggi una parte della città è morta insieme al suo capitano. Mentre lasciamo agli opinionisti inglesi il dibattito su quale tra lui, Lampard e Scholes sia stato il miglior centrocampista, noi ci chiediamo un’altra domanda, forse più difficile da rispondere: dove sarebbe il Liverpool se non ci fosse stato Steven Gerrard? Probabilmente, in cerca di qualcuno come lui.

“Quando muoio, non portatemi all’ospedale. Portatemi ad Anfield. Sono nato lì e lì morirò.”

Tommaso Fiore

This post was last modified on 25 Novembre 2016

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