Il pareggio tra Guardiola e Yaya Touré ha consentito al Manchester City di uscire vincitore dal match del Selhurst Park contro l’ottimo Crystal Palace. Non è un gioco di parole, perché prima della sfida di sabato avevamo assistito, negli ultimi tre mesi, ad una vera e propria lotta interna tra il manager dei Citizens e il centrocampista ivoriano, che è esitata addirittura nell’esclusione di quest’ultimo dalla lista Champions. In realtà, i dissapori tra questi due monumenti del calcio mondiale risalgono ai tempi del Barcellona, precisamente quando, nel 2010, Pep diede il suo benestare alla cessione di Yaya al Manchester City, nonché a quella di Ibrahimovic al Milan: i due assi ufficialmente avevano la ‘colpa’ di non essere funzionali al gioco, ma ufficiosamente rappresentavano un pericolo per l’ego smisurato del tecnico catalano.
Difficile tenere a freno l’espansione del proprio ego quando sei considerato il miglior allenatore al mondo e uno dei migliori della storia. A dirla tutta, probabilmente senza un ego adeguato non puoi nemmeno diventarci, il migliore, a maggior ragione se il tuo lavoro consiste nel guidare altri uomini e di renderli proni al tuo progetto tattico. Il punto è che, però, per quanto tu possa essere bravo, preparato, innovativo, accattivante, vincente, non avrai mai la certezza di piacere a tutti. Perché ci sarà sempre qualcuno che, senza neanche tutti i torti, sminuirà il tuo lavoro esaltando quelle che sono le caratteristiche dei singoli giocatori. E’ l’eterna sfida tra il gioco di squadra e il singolo, e il singolo in questione è, appunto, Yaya Touré.
Chi avesse qualche dubbio sul significato della parola “catalizzatore” non perda tempo con sterili sfogliate di vocabolario; si guardi una partita dell’ivoriano: le immagini valgono più di mille spiegazioni, perché anche stando comodamente seduti sul divano di casa, è impossibile non farsi trascinare dall’egocentrismo tecnico-tattico di Yaya Touré. La palla ce l’ha sempre lui. E’ difficile persino attribuirgli un ruolo ben definito, perché, si badi, Yaya non è nemmeno il cosiddetto “jolly”; l’ivoriano appartiene infatti ad una categoria unipersonale chiamata Yaya Touré. Con il suo strapotere fisico e tecnico è un giocatore assolutamente dominante, che fatalmente ruba la scena ai compagni di squadra e, soprattutto, rappresenta un ostacolo alla realizzazione del progetto tattico dell’allenatore. E’ egli stesso un progetto tattico, prendere o lasciare.
Naturalmente Guardiola ha più volte lasciato. In primo luogo, ai tempi del Barcellona e prima di chiederne la cessione, relegando Yaya sulla linea dei difensori in modo da sottrargli un bel po’ di protagonismo e distribuendolo in egual misura ai vari Xavi, Busquets e Iniesta (poco male, in effetti); e poi, una volta accasatosi al City, fomentato anche dalle parole al vetriolo dell’agente di Touré Dimitri Seluk, escludendolo dal suo ambizioso progetto tattico nonché, come detto, dalla lista Champions. Per reintegrare in rosa il prestigioso giocatore – con oltre 10 milioni di euro di ingaggio Yaya è uno dei giocatori più pagati al mondo – , Guardiola ha preteso le scuse dell’ivoriano e del suo agente. Quest’ultime non sono ancora arrivate, ma Pep si è fatto bastare quelle del giocatore per fare un passo indietro. Certo, parlare di una pace sembra eccessivo, diciamo che è stata una sorta di transazione, in cui entrambi hanno rinunciato ad una porzione del proprio ego: Touré ‘abbassandosi’ a chiedere scusa, e Pep schierandolo subito in campo nella trasferta contro il Crystal Palace.
Morale della favola, Touré è tornato immediatamente a fare quello che gli riesce meglio: dominare. Schierato al fianco di Fernandinho in un 4-2-3-1 – il Manchester City è un cantiere aperto in cui la sperimentazione è continua –, con una doppietta ha infatti consentito ai Citizens di prendere i 3 punti. Sempre nel vivo del gioco, è come se questa pausa forzata non avesse lasciato scorie: con i grandi giocatori è sempre così. Ora, però, il dibattito tra gioco di squadra e singolo si arricchisce di un nuovo capitolo e probabilmente ci accompagnerà per il resto della stagione; nondimeno va registrato un ‘pareggio’ tra due esponenti dell’egocentrismo che preoccuperà non poco le pretendenti alla Premier e alla Champions. Perché talvolta si può vincere anche pareggiando.
Luigi Fattore
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