Lolo sta camminando per le vie di Nueva Helvecia, un paesino nel sud dell’Uruguay. Cammina e mentre attraversa le strade polverose del paesino dove è nato sogna. Sogna di trovarsi in una città più grande, non che non gli piaccia la sua, sia chiaro, ma vuole di più. Magari Buenos Aires, nella vicina Argentina. O chissà, qualche città europea. È ambizioso, il ragazzino. E allora mentre passa davanti ad un parco vede due alberi che per tutti quelli che passano da lì sono solo due alberi. Lolo ci vede dell’altro. Quegli alberi non sono alberi. Per lui sono una porta dentro alla quale calciare un pallone. Ma la passione per il calcio, in Lolo, è nata quasi per caso. Anzi, è nata nel luogo più distante possibile da un campo da calcio. Un luogo che spesso ostacola i ragazzini che amano quella palla. Questo luogo è la scuola.
MARACANAZO – Un giorno, a scuola, in un’ora libera, il maestro racconta una storia ai ragazzini per tenerli buoni. La storia, manco a dirlo, riguarda il calcio. Una vera e propria religione in Sudamerica. Non è una storia qualunque. Riguarda una partita in particolare. Ma per il popolo uruguayano non è una partita come tutte le altre. È la partita. Stiamo parlando della finale mondiale Brasile-Uruguay del 1950. Stadio Maracanà di Rio de Janeiro. La gente è in visibilio e non vede l’ora che la partita inizi. Apparentemente non dovrebbe esserci storia. I brasiliani sono nettamente più forti, giocano in casa, hanno tutti i favori del pronostico per mettere in bacheca la coppa del mondo. Il primo tempo finisce a reti inviolate ma la supremazia territoriale dei brasiliani è stata netta, manca solo il gol. Puntualmente, al sesto minuto della ripresa, Friaca apre le marcature. Brasile in vantaggio, pubblico in delirio. Al Brasile bastava un gol per poi scatenare tutta la sua furia sugli avversari: il gol è arrivato e gli uruguayani sono rassegnati a prenderne molti altri. Tutti tranne uno, precisamente il capitano, che non ci sta. Capisce la situazione e con una furbata da Oscar inizia a protestare con l’arbitro per un presunto fuorigioco. Ma lui sapeva bene che il gol era regolarissimo. Lo scopo di questa scenetta era quella di raffreddare gli animi, di innervosire i brasiliani che avevano fretta di tornare a giocare e sommergere di gol La Celeste.
Si perde un sacco di tempo e, alla ripresa del gioco, i brasiliani non sono più gli stessi. Ma nemmeno gli uruguayani che passano dallo sconforto più totale alla speranza. E allora iniziano ad attaccare senza paura, i brasiliani sono preoccupati e il disatro verdeoro ha inizio. L’Uruguay pareggia e tutto il Maracanà inizia a borbottare, alcuni già piangono. Esatto, “già”, perché a nove minuti dalla fine si materializza quello che passerà alla storia con il nome di Maracanazo. La più umiliante sconfitta per il Brasile contro un avversario nettamente inferiore, in casa propria, davanti a centocinquantamila spettatori. 1-2 il risultato finale e Uruguay Campione del Mondo. Lolo è completamente ammaliato da questa storia, si immagina là dentro, sul campo del Maracanà e sogna ad occhi aperti. Ad un certo punto chiede al maestro: <<Maestro, qual è il nome del calciatore che ha permesso tutto ciò interrompendo il ritmo dei brasiliani?>>, <<Bella domanda Lolo, mi sono dimenticato di dirlo. Si chiama Obdulio, Obdulio Varela>>, <<Bene, maestro, quando sarò grande voglio essere come Obdulio. Voglio giocare a calcio e diventare Campione del Mondo>>.
DAL PENAROL ALLA BOMBONERA – Lolo, soprannome di Rodrigo Bentacur, inizia a giocare alla tenera età di nove anni in una squadra locale, l’Artesano. Poi inizia a fare pressione al padre convincendolo a fare un provino per il Penarol, la più gloriosa squadra uruguayana. Ovviamente da quelle parti rimangono stregati dal suo talento cristallino. Bentacur è un centrocampista dai piedi puliti, ben impostato fisicamente e con un tocco di palla che gli ha permesso di affibbiargli l’appellativo di “nuovo Pirlo” e “nuovo Riquelme”. Già, proprio Riquelme, il giocatore più amato a Buenos Aires, El Ultimo Dìez di una delle squadre più grandi del mondo: il Boca Juniors. Dopo tre anni di Penarol, Rodrigo approda alla Bombonera dove gioca tuttora. Quando ancora non ha compiuto 18 anni, Bentacur fa il suo esordio in prima squadra. Di solito, gli allenatori utilizzano i giovani col contagocce per non bruciarli, per fargli assaporare il campo gradatamente e lo fanno in partite di poco conto. Ma, ricordate, siamo in Argentina, e qui tutti questi calcoli non esistono. Volete sapere in che partita fa il suo esordio in prima squadra Bentacur? Boca Juniors-River Plate. Se non avete idea dell’importanza di questa partita e della difficoltà che un giovane può avere nel giocarla, proviamo a farvela capire con un parallelismo: un calciatore che fa il suo esordio in un Clasico come Boca-River è come il nuotatore che si tuffa in acqua ma non sa nuotare. Rischia di affondare. Ma Lolo ha le spalle larghe e infatti riesce ad emergere. La partita termina 5-0 per gli Xeneizes e Rodrigo marca il quinto gol. È l’inizio dell’ascesa. Bentacur diventa un pilastro della squadra e attira su di sè le attenzioni dei club europei. In particolare la Juventus resta stregata dal talento di Lolo e, nell’operazione che ha riportato Tevez nel suo barrio, inserisce un diritto di prelazione per Rodrigo che, molto probabilmente, eserciterà nel prossimo mercato invernale.
Rodrigo Bentacur oggi ha 19 anni e il suo destino appare roseo. È cresciuto con il mito di Gago, Riquelme, dice di ispirarsi a Xavi, Iniesta e Busquets. Strano, però, che in questi nomi non ce ne sia nemmeno uno di calciatori uruguayani. Forse, parlando di tecnica, si ispira ai sopracitati. Ma parlando di amore per lo sport, di personalità, di garra, la sua ispirazione non può che essere lui, il capitano per eccellenza della Celeste, Obdulio Varela: l’eroe del Maracanà.
Giuseppe Gerardi
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