Spesso si dice che nel calcio, almeno ai massimi livelli, conta tantissimo il presente, poco il passato e quasi niente il futuro. In altri termini, non conta quello che hai vinto né la tua prospettiva, ancorché rosea. Conta solo se vinci oggi. Talvolta accade, però, che per cercare di ribaltare un presente non propriamente esaltante e sostanziare l’appellativo di “vincenti”, i protagonisti di questo meraviglioso sport necessitano di un’escursione in quel lembo di storia gloriosa che hanno alle spalle.
La nona giornata di Premier League, da questo punto di vista, è venuta in soccorso di Mourinho, probabilmente in questo momento il “vincente” più in difficoltà nel panorama calcistico europeo. Il calendario, infatti, ha dirottato il suo Manchester United dritto dritto a Stamford Bridge, lo stadio del Chelsea, cioè quella che per cinque stagioni (intervallate dalle esperienze con l’Inter e il Madrid) è stata la casa putativa dello Special One. Nonostante le ancora poco chiare dinamiche delle due separazioni dal club di Abramovic (si parla di dimissioni nel 2007 e di esonero mascherato da risoluzione consensuale nel 2015), i tifosi del Chelsea hanno, tuttavia, dimostrato di possedere una memoria piuttosto lunga, e nell’accoglienza densa di applausi riservata a José poco prima dell’inizio del match, il peso maggiore lo hanno avuto evidentemente i diversi titoli che il portoghese ha lasciato in eredità al club londinese: su tutti 3 Premier League e una FA Cup.
Ma la presa di coscienza del proprio stato di “vincente” è durata appena ventinove secondi di gioco. Il pur piacevole momento amarcord, infatti, è stato travolto da un presente implacabile che ha le fattezze ossessive e assatanate di Antonio Conte, il nuovo manager dei Blues. Il precoce gol di Pedro, favorito da una dormita difensiva dei Red Devils, ha dato il là a quello che sia dal punto di vista del gioco sia dal punto di vista del risultato (4-0) si è trasformato in uno schiaffo che ha sancito ufficialmente la crisi del Manchester United e del suo condottiero. Gli uomini dello Special One non hanno opposto nulla al furore agonistico dei giocatori del Chelsea, i quali, rispettando pedissequamente le consegne di Conte, hanno corso in lungo e in largo dando l’impressione di moltiplicarsi, lasciando solo le briciole agli avversari. Anche lo stesso Ibrahimovic, al di là di un paio di conclusioni, è parso molto al di sotto dei suoi standard abituali, per non parlare di Pogba, i cui standard, per ora, sono rimasti a Torino, precisamente nelle casse della Juventus.
La ricerca estetica, si sa, non ha mai appassionato Mourinho, ma se inizia a venir meno anche la sua capacità più unica che rara di penetrare nella testa dei giocatori facendoli rendere al massimo, il presente dei diavoli rossi non può che assumere le sembianze del dramma sportivo. Ad oggi, infatti, appare piuttosto arduo immaginarne una rapida ripresa. E come se non bastasse, dopo la clamorosa disfatta di ieri, per l’allenatore portoghese sarà ancora più difficile cercare ristoro nel suo passato glorioso, perché in quell’esultanza smodata di Conte avvenuta sul 4-0, Mou ha intravisto, per la prima volta nella sua carriera, una sorta di passaggio di consegne. Nell’instaurare un rapporto simbiotico con il pubblico di Stamford Bridge, Antonio ha infatti avviato ufficialmente le pratiche per prendersi definitivamente il presente del Chelsea e, perché no, anche un po’ del suo passato, mirando ad accorciare la memoria dei tifosi. E questo, a José, non va proprio giù.
Luigi Fattore
This post was last modified on 26 Gennaio 2017
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