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Da brutto anatroccolo a “cigno nero”: la rinascita di Robinho

12 Maggio 2015. “Il contratto tra la società Associazione Calcio Milan e il signor Robson de Souza Santos, detto Robinho, è da ritenersi concluso, un anno prima dell’effettivo termine”. Questo è quanto il funambolico attaccante legge sui giornali, su tutti i quotidiani.

Lui lo sapeva, sì, aveva partecipato alle trattative, ma non voleva crederci: cosa ne sarebbe stato di lui, già 31enne, con una moglie e due figli in casa? C’era bisogno di accasarsi altrove, di trovare un posto che potesse rivalorizzarlo. Aprì il frigo, prese una bevanda e se ne versò un bicchiere. Poi tornò a sprofondare nella poltrona e, tra una lacrima e l’altra si mise a pensare…

1990. Il giovane Robson ha appena 6 anni e la completa povertà della sua famiglia gli impedisce di allenarsi come si dovrebbe, perciò si allena a casa usando palline da tennis e giocando, come la maggior parte dei ragazzi brasiliani, in strada. Il calcio bussa alla sua porta, ma attraverso quella porticina che spesso viene considerata, erratamente, meno importante.

Lo contatta il Beira-Mar prima e il Portuarios poi, entrambe società di calcio a 5 (o futsal, a seconda di come lo si preferisca chiamare). Nel 1995 arriva la chiamata del Santos per giocare nella loro formazione di calcio a 5. Notato il talento eccezionale di quell’11enne, la dirigenza del club Alvinegro decide di portarlo nelle giovanili della squadra di calcio a 11.

Il talento di Robson è evidente a tutti, specie quel dribbling continuo che fa letteralmente perdere la testa (e anche il pallone) ai difensori. Quando però è Pelé stesso, all’epoca responsabile del settore giovanile del Santos, a dire che si rivede nelle tue giocate, è difficile credere in qualcosa di diverso.

Robson (che poi diventa Robinho) continua la sua crescita e all’età di 17 anni, nel 18 agosto 2002, fa il suo esordio nel campionato brasiliano con la maglia del Santos: Botafogo 1 – 2 Santos. Niente gol all’esordio, per quello basta aspettare un paio di settimane, il 5 settembre nel 3-0 con cui la sua squadra “schianta” il Vitoria.

A fine anno i gol sono 10, che contribuiscono alla vittoria del campionato, primo titolo conquistato a 18 anni. Un vero fenomeno, un vero predestinato. Nel 2003 diventa titolarissimo, anche se segna meno, ma l’esplosione è data 2004: a 20 anni Robinho si aggiudica il secondo campionato realizzando la bellezza di 21 reti solo in campionato, che gli valgono anche il terzo posto nella graduatoria del Pallone d’Oro sudamericano, dietro a gente come Carlos Tevez e Javier Mascherano.

Robinho ai tempi del Santos

30 Luglio 2005. L’estate era stata rovente: migliaia di chiamate, di convocazioni, il suo agente impazzito. Il tutto mentre Robinho era concentrato a giocare (e a vincere, ovviamente) la Confederations Cup in Germania con la Seleçao. “Ti vuole il Real Madrid” fu la frase più chiara da parte del suo agente; il resto era un confusionario elenco di cifre. Perché il tira e molla da parte del Santos era veramente pressante. Ora, mentre Robinho era in volo da San Paolo verso Madrid, stava ripensando a quelle cifre.

30 milioni di dollari. Questo era costato lui, un ventenne, alla società con la più straordinaria tradizione vincente di sempre. Contratto quinquennale, a quasi due milioni di euro all’anno. La maglia numero 10 sulle spalle, succedendo a Luis Figo, nel frattempo approdato all’Inter. Nonostante la stagione 2005-2006 sia un po’ altalenante, tra cambi di tecnici (Vanderlei Luxemburgo esonerato in favore di Juan Ramon Lopez Caro) e uscite precoci, come quella in Champions per mano dell’Arsenal, Robinho gioca con continuità andando in doppia cifra.

L’arrivo di Capello lo destabilizza: Robinho, da parte sua, commette l’errore di arrivare spesso in ritardo agli allenamenti, il tecnico friulano non lo accetta e gli preferisce Beckham, Ronaldo e Cassano. Se i primi due sono mostri sacri del calcio, pensare che Cassano possa essere più professionale di Robinho fa un po’ sorridere. Ma Pelezinho non si butta giù e, nonostante il poco tempo concesso, realizza altre 6 reti e aiuta il Real Madrid a vincere di nuovo il campionato.

L’arrivo di Schuster sulla pancina delle Merengues gli consente di tornare sulla cresta dell’onda, vincendo il secondo campionato spagnolo consecutivo (lui è decisivo con 11 reti e 15 assist). Complice una serie di screzi con la dirigenza, Robinho chiede di essere ceduto.

Robinho e Schuster, l’allenatore che più lo ha valorizzato a Madrid

31 Agosto 2008. Ancora una volta in aereo: un altro viaggio, un’altra meta. Stavolta Robinho vola in Inghilterra; a Londra i tifosi del Chelsea lo stanno tutti aspettando, la società ha già messo in vendita le magliette, lo zio Luiz Felipe Scolari è pronto ad abbracciare uno dei suoi giocatori preferiti della Seleçao, con la quale ha vinto, l’estate precedente, non solo la Copa América, ma anche la palma di miglior giocatore e miglior marcatore.

Appena atterrato a Londra, il suo agente lo chiama. “C’è un problema. Segui le mie istruzioni”. Niente più Chelsea, niente più magliette, niente più Scolari. Il Real ha accettato, proprio nelle ultime ore, l’offerta del Manchester City, che ha messo sul piatto ben 35 milioni di sterline, offrendo al giocatore 180.000€ a settimana, 720.000€ al mese, 7 milioni all’anno.

In conferenza stampa un Robinho stravolto per la confusione delle ultime ore commette un terribile lapsus. “Sono contento di giocare per il Chelsea” dirà, causando risate e perplessità da parte dei Citizens.

L’inizio del campionato è travolgente: 11 reti nella prima parte di stagione, che equivalgono a un potenziale arrivo a 20 reti. Ma il mondo ora gli crolla addosso: litiga con Mark Hughes, che non lo capisce, e non capisce il suo bisogno di tornare a casa. Il rendimento crolla e con esso anche il City. La dirigenza porta il club in ritiro a Tenerife, per ritrovare la concentrazione: ma da qui, in una notte, Robinho scappa, e torna in Brasile per festeggiare il suo compleanno. Viene multato di 300.000€, mezzo mese di stipendio, ma non basta.

L’anno dopo sulla panchina dei Blues di Manchester arriva Roberto Mancini, fresco del termine del contratto con l’Inter. Chissà quanto spesso il tecnico marchigiano, guardando questo ragazzone brasiliano con un talento esagerato e la lacrima sempre pronta a scendere, avrà rivisto Adriano, che aveva lasciato a José Mourinho ma che nessuno è più riuscito a far tornare ai suoi livelli? Con Mancini il rapporto peggiora, e in tutto l’anno colleziona solo 12 partite e un gol, in coppa, allo Scunthorpe United.

Robinho festeggia un gol col City

Comprendendo che la situazione sta precipitando, il City lo manda in prestito per 6 mesi al Santos, la sua vecchia squadra, sperando di recuperarlo soprattutto caratterialmente. Tra gennaio e agosto 2010, Robinho realizza 11 reti, 6 delle quali aiutano il Santos a vincere la Taça do Brasil, la Coppa nazionale.

31 Agosto 2010. Un altro volo, stavolta da San Paolo verso Milano. Stavolta il telefono non ha squillato solo quando lo chiamava il suo agente, ma anche per un certo mediatore italiano. Un tipo dall’aria buffa, un po’ panciuto. Si chiama Mino. E’ stato lui a portarlo, in fretta e furia, a Milano. Il Milan è un ambiente perfetto per lui, dal momento che in squadra ci sono già molti brasiliani, come Pato, Thiago Silva e soprattutto Ronaldinho.

Ritrova anche il Cassano con cui aveva avuto dei bisticci a Madrid: l’ambiente è talmente entusiasmante che, il 12 Febbraio 2011, Robinho realizza una doppietta nel 4-0 al Parma su due assist di Fantantonio. Pace fatta.

A fine anno, la gestione Allegri gli ha concesso di giocare 45 partite (più di chiunque altro tra i rossoneri) realizzando 14 gol, come Ibrahimovic e Pato. Un tridente spettacolare, che vale lo Scudetto numero 18 della storia milanista.

Sembra l’anno della rinascita e della possibile consacrazione. Invece è l’ultimo fiammifero rimasto nella scatola, che dopo averlo acceso e ammirato si brucia e si consuma. Tra il 2011 e il 2014, Robinho segna solo 17 gol, quando nel 2010-2011 ne aveva segnati 15. Ancora una volta il bisogno di Robson è quello di tornare a casa.

Il Milan lo accontenta, e lo manda in prestito per un intero anno solare al Santos, ma anche lì la fiamma sembra spenta: solo 17 gol in 41 partite. Robinho perde anche la Nazionale, che non lo convoca per il Mondiale casalingo del 2014. E in più il Milan gli ha rescisso il contratto.

Robinho con lo scudetto

16 Luglio 2015. Ancora un volo, ma stavolta non si va in Europa. Ha trovato il modo per abbracciare Scolari, ma il viaggio stavolta è più lungo. Robinho ha infatti accettato l’offerta del Guangzhou Evergrande, squadra cinese, precisamente di Canton. Nonostante il club vinca il campionato (consentendo così a Robinho di vincere i campionati di quattro nazioni diverse), il gol continua a latitare.

15 Gennaio 2016. L’ultimo volo, stavolta di ritorno. Finito il contratto con il Guangzhou, Robinho rimane di nuovo svincolato, ma gli basta aspettare un mese, il tempo che si faccia sotto l’Atletico Mineiro. Accetta di buon grado l’offerta del club di Belo Horizonte, partendo subito col botto: nel campionato mineiro mette a segno ben 9 reti in 10 partite, segnando anche in Coppa Libertadores.

E qui arriviamo ai giorni nostri: l’Atletico Mineiro è, infatti, attualmente terzo, a 8 punti di distacco dal Palmeiras a 7 partite dal termine. Più interessante ancora è la lotta per il titolo di capocannoniere: al primo posto c’è infatti Fred, compagno di squadra di Robinho, a 12. Poi, tra gli altri, Gabriel Jesus e lo stesso Robinho a 11.

Robinho si presenta all’Atletico Mineiro

E così, il brutto anatroccolo, quello che non segnava più, è diventato il protagonista di quella bella storia narrata da Il cigno nero di Darren Aronofsky: due ballerine (interpretate egregiamente da Natalie Portman e Mila Kunis) rivali impegnate sul palco per interpretare Il lago dei cigni; allo stesso modo (anche se per Fred parlare di leggiadria sembra paradossale) questi due danzatori del calcio si contendono non solo un titolo, non solo un gol, ma la speranza di rinascita, di allori. Soprattutto Robinho. Che vuole far capire che, in fondo, Pelé non si era sbagliato del tutto.

This post was last modified on 22 Ottobre 2016

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