E’ un bel pomeriggio soleggiato, allo Stadio Rigamonti di Brescia. I tifosi stanno già intonando i loro cori, in vista di una delle partite più importanti dell’anno: la squadra ospite è infatti la rivale di sempre, l’odiatissima Atalanta che, da Bergamo, è giunta nella vicinissima città della Leonessa nella speranza di vincere quel derby della Val Camonica, tanto sentito da entrambe le parti.
L’Atalanta si schiera con il consueto 4-3-1-2 di Vavassori: Taibi, il portiere goleador tra i pali, Carrera, Sala, Paganin e Bellini in difesa, Zauri, Berretta e Zenoni in mediana e con Cristiano Doni dietro le due punte, Saudati e Comandini.
Il Brescia risponde con Castellazzi tra i pali, Petruzzi, Calori, il compianto Mero e Sussi in difesa, Giunti in mediana affiancato dai fratelli Filippini e dal tridente offensivo composto da Esposito, Tare e soprattutto Roberto Baggio. Allenatore, il Signor (o, per dirla meglio, Sor) Carlo Mazzone.
Può capitare, per un 64enne, di ripensare alle tante avventure vissute durante una carriera più che trentennale. Può capitare addirittura di rivedere tutta quella carriera in una sola, singola partita. Specie se quella partita è la partita che i tuoi tifosi ti hanno chiesto, a gran voce, di vincere. Quel fischio di inizio, accompagnato dal boato dei tifosi, ti porta dunque immediatamente a ripensare al primo fischio d’inizio..
E’ il 24 Novembre 1968 e il presidentissimo Costantino Rozzi è alla ricerca di un nuovo allenatore per il suo Ascoli. Dopo aver esonerato Malavasi, infatti, la squadra è rimasta senza una guida. Il patron decide dunque di puntare su questo difensore 31enne, che sembra capirci qualcosa di calcio; è un ragazzone dallo spiccato accento romanesco e si chiama Carlo Mazzone. Senza nemmeno dirlo, la partita finisce con la vittoria per 2-1 dell’Ascoli del giocatore-allenatore contro lo Spezia. Ritiratosi a fine stagione, Mazzone rimane all’Ascoli, subentrando spesso e volentieri ai tecnici silurati da Rozzi.
La prima stagione da allenatore a pieno titolo è quella 1971-1972. Come festeggiare questo avvenimento? Con una promozione, ovviamente: l’Ascoli vince il suo girone di Serie C con 8 punti di vantaggio sul Parma e disputa, nel 1973-1974, il primo campionato di Serie B della sua storia. Ma Sor Carletto non si ferma qui: per la caratura di quell’Ascoli (si dice che ci fossero partite in cui i marchigiani potevano tenere palla addirittura per 60 minuti), la Serie B è molto stretta. Così, nel 1975, l’Ascoli ottiene la promozione in Serie A, mancando per soli 4 gol la vittoria del campionato, vinto per differenza reti dal Varese.
Nemmeno il tempo di rivedere nella mente le immagini della doppia promozione che Mazzone deve concentrarsi: il pallone è tra i piedi di Petruzzi, che vede un bell’inserimento di Baggio. Crossa; la palla sorvola tutta la difesa e giunge, docile docile, sul destro di Baggio, che con una bella girata trafigge Taibi: è 1-0 per il Brescia padrone di casa.
Dopo un buon campionato di Serie A con l’Ascoli, Mazzone viene contattato dalla Fiorentina. Accettando di buon grado, pur essendo triste per lasciare la città Picena dopo 15 anni, Mazzone inizialmente fa fatica: all’esordio in campionato, il 5 ottobre, perde al Del Duca contro il suo Ascoli (gli strani scherzi del calcio…), poi prende via via maggior confidenza con la squadra, arrivando a vincere la Coppa Italo-Inglese contro il West Ham. La stagione successiva lo vede arrivare terzo, ma con una distanza siderale di 15 punti dal Torino secondo. Viene poi esonerato, per la prima volta in carriera, il 18 Dicembre 1977, dopo la sconfitta per 0-1 al Franchi contro la Lazio.
3 stagioni passate a Firenze, e 3 minuti passati in campo: ecco che Sala, dalla destra, pareggia i conti al 27° con uno splendido diagonale: 1-1 e parità.
Dopo due salvezze col Catanzaro e un ritorno ad Ascoli, culminato con l’incredibile esonero nell’Ottobre del 1984, Mazzone approda al Bologna, in Serie B, con l’obiettivo di centrare la promozione in massima serie. Si tratta di un campionato difficilissimo, vista la partecipazione di tantissime squadre blasonate, a partire dalle neoretrocesse: la Cremonese, l’Ascoli e la Lazio, scesa incredibilmente e accreditata da tutti come la più attrezzata per la promozione. In aggiunta, bisognava considerare il Genoa, il Perugia e la Triestina.
La lotta per la promozione è serrata, la classifica cambia settimana dopo settimana, ma quello che sembra essere un bel campionato combattuto è macchiato da molti crimini: il secondo scandalo del Totonero cambia radicalmente le situazioni, facendo retrocedere il Perugia e il Palermo in Serie C2. Ma viene soprattutto cambiata la situazione in testa alla classifica: il Vicenza infatti, inizialmente promosso, è coinvolto e gli viene quindi revocata la promozione, che va all’Empoli. Il Bologna di Mazzone, nonostante si fosse mostrato pulito, manca la promozione per 4 punti, quanti ne sarebbero bastati per agganciare l’Empoli ed approdare in Serie A. Il campionato venne vinto dall’Ascoli (ancora una volta, gli scherzi del calcio…) che giunse primo davanti al Brescia.
Una mazzata dolorosa, ma mai quanto quello che sta per succedere in campo. Un bel pallone messo in mezzo dall’Atalanta, viene respinto in rovesciata da un difensore del Brescia. Ma sulla palla arriva per primo Cristiano Doni, che dopo un bel controllo, scaglia una sassata alle spalle di Castellazzi. Al 29°, è l’Atalanta a condurre per 2-1 al Rigamonti di Brescia.
Mazzone lascia il Bologna al termine della stagione, venendo poi assunto a metà Aprile dal Lecce. I salentini infilano 15 punti in 10 partite della gestione Mazzone, ma la classifica è molto complessa: salgono direttamente in Serie A il Pescara di Galeone e il Pisa di Simoni, con 44 punti; seguono, con 43, Cesena, Lecce e Cremonese, che si sfideranno in una serie di spareggi; fuori dai giochi il Genoa, con 42 punti. Pur non avendo centrato la promozione diretta, missione quasi impossibile comunque, Mazzone prepara con estrema cura i play-off: non vuole mancare l’approdo in A questa volta.
Dopo aver pareggiato 0-0 col Cesena e travolto la Cremonese 4-1, la vittoria del Cesena sui rosso-grigi di Mazzia porta lo scontro tra i romagnoli e i salentini a una sfida supplementare. Al Riviera delle Palme di San Benedetto del Tronto, distante una quarantina di chilometri di Ascoli, va in scena la finale tra il Cesena e il Lecce. Poiché il calcio, con Mazzone, si è divertito parecchio, il destino gli regala l’ennesimo scherzo: in una finale giocata praticamente in casa, Carletto esce sconfitto per 2-1 insieme al suo Lecce. Fortunatamente la promozione gli riuscirà l’anno successivo, giungendo secondo a due punti di distanza dal “suo” Bologna.
Un quarto d’ora dopo il raddoppio di Doni, l’Atalanta continua ad attaccare. Zenoni, largo sulla destra, fa partire un bel cross, che impatta con la testa di Comandini, uno degli eroi dell’11 Maggio 2001 tanto festeggiato dai milanisti. La punta bergamasca realizza così il 3-1 per i nerazzurri sul finire del primo tempo.
Una disfatta, per i bresciani. Una goduria immensa per i bergamaschi, che non risparmiano cori poco simpatici verso i rivali ma soprattutto verso Mazzone. Non c’è molta amicizia tra i romani e i bergamaschi; i lombardi ne approfittano allora per apostrofare nei peggiori modi Mazzone, mettendo di gioco i genitori, ormai scomparsi, del mister.
Carletto non ci sta; non ha mai apprezzato queste cose. Ha ancora nel cervello le immagini di un altro derby con l’Atalanta, giocato a Reggio Emilia il 19 Marzo 2001 e perso 0-3. Era il giorno del suo compleanno, il 64° per la precisione, e gli atalantini lo “festeggiarono” tributandogli gli stessi, pesanti insulti. Carletto, da buon “core de mamma” non ci vede più.
Rientra nello spogliatoio indemoniato e chiede una reazione degna di una favola. Il Brescia ritorna in campo con due cambi: fuori Esposito e Mero, dentro Schopp e Dainelli.
Per svagarsi da quelle tristi circostanze causate dai bergamaschi, Mazzone torna a pensare al suo passato. La testa, stavolta, vola a Cagliari: giunto in terra sarda nell’Ottobre del 1991, Carletto plasma una squadra capace di salvarsi nel 1992 (dopo aver ottenuto solo 2 punti nelle prime 6 partite), e di regalare ai suoi tifosi una stagione stupenda l’anno successivo.
Il 1992 parte col cambio al vertice della società: Massimo Cellino, rilevando la società dai fratelli Orrù per 16 miliardi di lire, diventa il nuovo presidente, e regala a Carlo Mazzone una rosa di discreto livello. Cellino infatti riporta a Cagliari Pusceddu, acquista dal Lecce Francesco Moriero, ma soprattutto acquista dall’Anderlecht per 6 miliardi il bomber Luis Oliveira.
La squadra è caratteristica in Italia per non avere un trascinatore in campo, ma in panchina; per non essere una squadra al servizio di uno, ma una squadra al servizio di se stessa. Sono ben quattro i migliori marcatori, tutti con poche (7) reti: i già citati Pusceddu (un terzino!) e Oliveira, insieme a Cappioli e a Enzo Francescoli, giocatore ancora indimenticato a Cagliari. Alla fine dell’anno i 37 punti racimolati dai sardi, frutto di ben 14 vittorie e 9 pareggi, issano i rossoblù al sesto posto, tornando così in Europa vent’anni dopo l’ultima partecipazione.
Nel frattempo una palla calciata lunghissima trova Tare, che di testa serve Baggio. Baggio aggancia il pallone, con una magia si gira e segna il gol della speranza: al Rigamonti è 2-3. Mazzone inizia a esultare come un ossesso, mandando letteralmente a quel paese la curva bergamasca. “Se pareggio vengo lì sotto“, grida ai tifosi nerazzurri.
La bella stagione col Cagliari porta Mazzone a realizzare, finalmente, un suo sogno: tornare in quella Roma che aveva lasciato, appena 22enne, per trasferirsi a Ferrara, per aggregarsi alla SPAL. Per un romano e un romanista, allenare i giallorossi non è solo un sogno, ma è la massima aspirazione della vita. Mazzone ci è riuscito, prendendo il posto di un santone come Vujadin Boskov su quella tanto bella quanto scomoda panchina.
Mazzone, nei tre anni passati nella Capitale, non vince niente. Nulla. Nemmeno un risultato di grande rilievo, arrivando una volta settimo e due volte quinto. Ma la sua esperienza a Roma non è stata da buttare. Per due date: la prima è il 4 Settembre 1994, giorno del primo gol di Francesco Totti, in Roma 1 – 1 Foggia; la seconda è il 18 Febbraio 1996, quando Arrigo Sacchi convoca Francesco Totti in Nazionale per uno stage. Se dunque i risultati sul campo non sono stati eccelsi, va dato a Mazzone il merito di aver plasmato, forgiato e reso grande Francesco Totti, al quale ha dichiarato di aver sempre voluto bene, “come a un figlio”.
La partita è agli sgoccioli, e il tabellone recita ancora Brescia 2 – 3 Atalanta. Mazzone, per la sua vendetta, ha bisogno di un gol del suo attuale campionissimo, quel Roberto Baggio che oggi ha già realizzato una doppietta, quel Divin Codino che, accettando il contratto col Brescia, ha fatto inserire una clausola che, qualora Mazzone avesse cambiato squadra, Baggio avrebbe potuto interrompere il rapporto con le Rondinelle. Baggio ha avuto bisogno di Mazzone per chiudere con l’ennesima favola la sua carriera; ora però Mazzone ha bisogno di quel gol per quella vendetta, che vale più di mille punti.
Al 90°, l’arbitro Collina fischia un fallo di mano ai danni di Zauri, sarà calcio di punizione dal lato corto dell’area. Sul pallone va Baggio. Passa un minuto, tra mischie in area e finte dell’asso vicentino. Alla fine Roby calcia. La palla continua la sua corsa, senza sosta, verso il palo lontano. Un difensore nerazzurro cica l’intervento, Taibi non ha la visuale libera e il pallone, incredibilmente, entra.
Esplode il Rigamonti, ma soprattutto esplode, dentro e fuori, Carletto Mazzone, che corre verso la curva dell’Atalanta, imprecando e insultandoli in tutte le maniere possibili. A nulla serve un tentativo da parte del vice Menichini di trattenerlo (Mazzone gli risponde con un sincero “Che me frega?“), Mazzone corre e sfoga 40 anni di carriera in uno scatto (si fa molto per dire…).
Saranno cinque le giornate di squalifica che prenderà con quel gesto, che però è sopravvissuto fino ad oggi, 30 Settembre 2016. Esattamente 15 anni dopo.
Si poteva dire molto riguardo Mazzone: il suo legame indissolubile con la romanità, i suoi “figliocci” Baggio e Totti, l’allenatore degli “allenatori”, avendo insegnato calcio ad attuali maestri come Guardiola e Conte, il suo record come allenatore più presente in Serie A (795 partite)…
Ma sembrava più corretto ricordarlo così, coriaceo e festoso. Il riassunto più efficace di una carriera straordinaria.