Undici metri, solamente undici metri possono cambiare il volto di una nazione e di un uomo. Il paese in cui sei nato contro quello che ti ha dato la possibilità di scrivere la tua storia, di diventare immortale. Scordare tutto quello che hai passato per arrivare su quella panchina e assaporare quella gioia che provavi da bambino, quando non andavi a scuola per giocare a calcio con gli amici. Quando ti chiamavano “El Zurdo” perché pretendevi di giocare solo con il piede sinistro per assomigliare al tuo idolo. Gli anni passano e tutto va peggio: tibia e perone fratturate e il sogno di diventare calciatore sfuma, tuo padre se ne va per un male incurabile e tu ti ritrovi dentro un ufficio, in un ambiente claustrofobico. Quel mondo non ti appartiene e quegli undici metri l’hanno fatto capire al mondo intero. La partita di cui parlo è Cile – Argentina e l’uomo in questione è Jorge Sampaoli.
DALLA SCRIVANIA ALLA PANCHINA- Sulla sua carriera da calciatore c’è poco da dire. Il sogno di solcare i campi verdi dell’Argentina viene meno a causa di un brutto infortunio, Sampaoli intraprende la professione di banchiere affiancandola a quella di giudice di pace. La passione per il calcio non scompare, quando il fisico non ti supporta si trova un’altra strada: tra un turno di lavoro e l’altro si diletta ad allenare l’Alumni, squadra che disputa il campionato provinciale. Vince il torneo e si fa notare dal presidente del Newell’s che decide di dargli la chanche di dimostrare quanto vale in serie C, in una squadra satellite. Non è quello che cerca, per maturare a pieno e prendere consapevolezza dei propri mezzi serve qualcosa di drastico, serve spogliarsi delle proprie certezze, togliersi la giacca e la cravatta ed intraprendere un cammino più arduo. La sua storia comincia proprio qui, tra il clima secco ed ostile del Perù, tra le imperiose ande, tra le selve infinite che danno i natali al Rio delle Amazzoni, tra il pathos del popolo.
“YO SOY EL CORONEL BOLOGNESI”- Il pellegrinaggio di Sampaoli per diventare grande e staccarsi un pass per l’Europa comincia in Perù, un Sepulveda al contrario. Lo scrittore cileno racconta il suo ritorno in patria dall’Europa mentre attraversa tutto il Sud America, Jorge con i risultati ci narra una favola stupenda compiendo il viaggio a ritroso. Un uomo di garra e carattere come lui non poteva che farsi notare e raggiungere i primi buoni risultati in un massimo campionato se non a Tacna, città con un forte senso patriottico e la cui squadra prende il nome dal Coronel Francisco Bolognesi. Si può pensare che da ogni esperienza abbia preso qualcosa, insegnamenti e consigli che lo hanno forgiato come lo spirito combattivo che si respira in città, la voglia di non mollare mai dinanzi a niente e nessuno, neanche di fronte agli scogli insormontabili come lo stesso Coronel fece, pagando con la sua stessa vita. Dopo due stagioni Sampaoli raccoglie un terzo posto e una qualificazione alla Copa Sudamericana e getta una base solida per la vittoria del campionato del 2007, ma su quella panchina non ci sarà lui. La prima tappa del viaggio si conclude così, Jorge si è affacciato nel calcio professionistico, ha appreso una nozione fondamentale per il suo futuro ed ha già sperimentato moduli su moduli come un certo…Marcelo Bielsa, per lui un’entità quasi astratta di cui studiare ogni singola mossa.
LA PRIMA ESPERIENZA CILENA E L’ECUADOR- Dopo aver concluso il periodo in Perù, Jorge riparte dal Cile. No, non sulla panchina della nazionale ma su quella del modesto O’Higgins. Il club deve il suo nome al generale Bernardo O’Higgins e a Rancagua, città in cui si trova la squadra, Jorge respira ancora quell’aria intrinseca di storia che aveva già assaporato a Tacna. In due anni raggiunge al massimo un quarto di finale nei playoff del campionato di apertura, dominando a suon di gol e belle giocate il girone di qualificazione. Il cammino viene interrotto dal Colo-Colo, una macchina demolitrice in quegli anni. Pessima figura per tutta la squadra, cinque gol presi solo nel secondo tempo e il sogno di portare undici ragazzi e un’interà città sul tetto del Cile diventa un’utopia, per ora. Nell’estate del 2009 arriva una nuova proposta, questa volta dall’Ecuador. Il viaggio all’interno del Sud America continua come il confronto con le diverse culture, i diversi stili di gioco, le città, il pubblico. Jorge, finalmente, sta per mettere le mani sul suo primo trofeo. Alla guida dell’Emelec riesce a imporre il proprio gioco: pressing nella metà campo avversaria, tanti gol e squadra a trazione anteriore. “Los Electricos” non si fermano davanti a niente e nessuno fino a raggiungere il primo posto in campionato e l’accesso alla finale playoff dove incontrano la Liga de Quito. Per spiegare com’è andata occorre ricorrere al trielio di Tarantino: il gioco offensivo di Sampaoli, il cinismo di Bauza (allenatore della LDU) e la maledizione di Bielsa. Tutti e tre insieme per 180 minuti. Al contrario dei film, dove si conclude con un triplice omicidio, a cadere sono allievo e maestro. Come “el Loco” anche il giudice di Casilda perde a un passo dall’impresa.
A VOLTE RITORNANO- L’amara sconfitta ci porta all’ultima tappa del viaggio, Jorge torna in Cile. L’occasione che tanto aspettava arriva, finalmente si siede sulla panchina di una big. A Santiago trova una nuova casa e diventa conquistadores dell’America Latina. Il 15 dicembre 2010 mette la firma sul contratto propostogli dall’Universidad de Chile con un obiettivo, quello di vincere il campionato, e con un sogno, quello di vincere un trofeo internazionale. Sampaoli supera ogni aspettiva, domina letteralmente il campionato. Ha fame di trofei, la fame di chi si è sempre guadagnato ogni minimo risultato, la fame di chi ha abbandonato la sua casa per inseguire un sogno, la fame di chi ha sofferto tanto ma è sempre riuscito a rialzarsi. Il self made man per antonomasia vince L’Apertura, la Clausura e di nuovo l’Apertura. Non c’è Colo-Colo che regga, il gruppo di Jorge non molla un centimetro e si impone meritatamente a livello nazionale. Per rendere meglio il concetto prendiamo il record infranto dall’Universidad: nove vittorie nelle prime nove giornate, numeri da capogiro. Obiettivo ampiamente raggiunto, ora è il momento del sogno nel cassetto. L’Universidad partecipa alla Copa Sudamericana (la nostra Europa League) senza porsi obiettivi, i cileni non hanno mai vinto un trofeo fuori dai propri confini. Le diverse concezioni di fùtbol riscontrate tra i vari paesi hanno portato Sampaoli alla piena maturazione, si distacca dal suo mentore e cura maggiormente la fase difensiva. Non poteva esserci scelta migliore, i suoi ragazzi hanno tutto per arrivare in fondo alla competizione e non si fanno scappare l’occasione. In dodici incontri giocati la porta dell’Universidad viene violata solamente due volte e la tanto agognata finale e l’opportunità di riscattare un intero paese arriva. Nella partita più importante della sua vita, fino a quel giorno, Sampaoli incontra ancora Edgardo Bauza e la Liga de Quito, quel binomio che fece andare in rotoli tutto il lavoro fatto alla guida dell’Emelec. La U, trascinata da un incontenibile Edu Vargas, travolge anche gli ecuadoregni. 1 a 0 in trasferta e 2 a 0 in casa davanti ai 48.000 dell’Estadio Nacional, lo stadio è una bolgia, le immagini trasmesse dai maxi schermi mettono i brividi, il paese è in festa, El Zurdo Sampaoli ce l’ha fatta.
IL PASSAGGIO DEL TESTIMONE- Nel 2012 Bielsa lascia la panchina della nazionale cilena. Ci sono buone basi per lavorare sì, ma serve qualcuno che sappia raccogliere i frutti del lavoro del loco. La federazione sa che tra le mani ha la migliore rosa di sempre probabilmente, non si possono perdere certe occasioni soprattutto se non hai mai vinto un trofeo. Ai piani alti si interrogano finchè non esce fuori un nome: Jorge Sampaoli. La sua strada si incontra con il lavoro di Bielsa, un mix di nozioni calcistiche fuori dal comune. La leggenda vuole che “El Zurdo” si registri ogni singola partita del “loco” per poi guardarla e riguardarla. Modulo? 3-3-1-3 ovviamente. Il Cile, ai mondiali, lascia intravedere l’infinito potenziale che ha ma un’ampia dose di sfortuna li rimanda a casa: si qualificano per secondi ai gironi per poi incontrare il Brasile, Pinilla all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare prende una traversa che fa tremare l’intero popolo, poi i rigori sentenziano la Roja. Testa bassa e lavorare, c’è da giocare la Copa America davanti al proprio pubblico. Il gruppo A vede Cile, Bolivia, Ecuador e Messico lottare per due posti. I padroni di casa non risparmiano nessuno e volano ai quarti, eliminado l’Uruguay di Suarez e Cavani con la rete decisiva di Mauricio Isla. Passano anche contro il Perù e aspettano il risultato di Argentina-Paraguay, l’albiceleste si impone per 6 reti a 1. La finale è decisa, rimane da affrontare una delle rose più forti al mondo. L’Estadio Nacional è gremito, tinto di rosso, questa volta non di sangue come quando venne convertito in campo di concentramento da Pinochet. L’intero paese deve collaborare per affrontare la partita della vita e come cantavano gli Inti-illimani “El pueblo unido jamas sera vencido”. Sulle note della canzone la Rojas ha lottato per 120 minuti di gioco, senza indietreggiare mai, senza concedere un centimetro agli avversari, spinti dal ruggito incessante dei tifosi. Ai calci di rigore sappiamo tutti com’è finita, David ha trionfato contro Golia. E Sampaoli? Un video lo ritrae mentre i suoi ragazzi versano lacrime di gioia camminare quasi incredulo per il campo, con un timido sorriso stampato sulle labbra. Un normale giudice di pace di un paesino dell’Argentina ha dato uno schiaffo morale all’intero pianeta, ha mostrato che l’uomo è l’artefice delle proprie fortune. Grazie, Jorge.
This post was last modified on 30 Settembre 2016
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