Vinci e sei un eroe, perdi e sei un vigliacco: la dura legge del calcio, alla fine, può essere riassunta sempre e solo così. Troppe volte ci siamo ridotti a questa semplicistica, quasi elementare sentenza che riassume tutta l’essenza del mondo del pallone, quella che Boniperti fu bravo a riassumere nel suo famoso “vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta“. Questo motto a tinte bianconere Antonio Conte probabilmente lo ha sempre portato con sé; è sempre stata la spina dorsale della sua filosofia. E lui è sempre stato una delle tante vittime della legge del pallone, ma ha avuto la fortuna di avere spesso la vittoria dalla sua parte, alla Juventus come alla guida della nostra Nazionale.
Proprio quelle vittorie che hanno portato Conte ad insegnare calcio a Londra, ora gli stanno mancando come l’aria. Un punto in tre partite bastano, non solo nella Premier League, a scatenare la bufera. D’altra parte il calcio serve anche a questo: a far discutere. Chissà come giocherebbe la nostra squadra con un altro allenatore, con questo giocatore, senza quest’altro. Sono più o meno queste le domande che stanno ronzando nelle orecchie dei tifosi del Chelsea mentre fissano inorriditi lo schermo al novantesimo minuto del derby contro l’Arsenal. Era dal 2011 che i rossi non battevano i blu. Ciò che doveva essere la partita che mandava Wenger definitivamente in pensione è stato un naufragio totale per Antonio. Non è solo arrivata una sconfitta, ma una vera e propria batosta.
3-0. Il risultato peggiore di tutti. Quello che nel calcio significa dominio assoluto contro il nulla più totale. Un verdetto così nitido che ha gettato il mister in una lunga notte insonne. I bookie d’Oltremanica hanno già dimezzato le quote per l’esonero, e, si sa, quando c’è di mezzo Roman Abramovich le percentuali tendono ad alzarsi in maniera piuttosto incontrollata e incontrollabile. Ma la roulette russa può aspettare. Perché il Chelsea, per ora, non assomiglia per nulla a una squadra di Conte. O, almeno, a quelle che ci ha abituato a vedere finora. Dalla Juventus mangiatutto all’ultima, eroica Italia degli Europei: Antonio si è costruito una reputazione per essere un maestro dell’arte della motivazione, un costruttore di difese arcigne, un esempio di attaccamento alla maglia e di passione per il lavoro. Ma ora che il suo inizio perfetto in Premier League si è tramutato in una dura marcia di arresto, si faticano ancora a vedere segni di entrambe le cose.
Passare dall’arte del catenaccio con Barzagli, Bonucci e Chiellini all’arte della confusione con Luiz e Cahill per uno come Conte è già fin troppo blasfemo. Ma la difesa del Chelsea, colpevole principale delle recenti disfatte, fa veramente acqua. E la maggior parte della colpa non cade su Antonio. Cahill è stato additato come un giocatore da buttare e se l’errore contro lo Swansea non bastava a rendere l’idea, quello uguale contro i Gunners ha fatto allarmare anche il più ottimista dei tifosi di Stamford Bridge. David Luiz è più un rimpiazzo che il centrale difensivo come Bonucci e Koulibaly tanto voluto dal tecnico pugliese nella finestra di mercato estiva. Il rendimento in campo del brasiliano è a dir poco imbarazzante: zero attaccamento alla maglia, zero impegno. E c’è anche una spinosa questione capitano. Branislav Ivanovic non è lo skipper adeguato e più che dare l’esempio sta mettendo in mostra ciò che non si dovrebbe fare per vincere una partita. In infermeria ci sono Zouma e capitan Terry, l’unico rimasto a guidare le retrovie dei Blues con un sacco pieno di esperienza sulle spalle. Ma dopo questa stagione cosa ne sarà della sua squadra senza di lui? Si riuscirà a trovare un altro difensore alla sua altezza?
Ma c’è speranza. Ed è quella che deve iniettare Conte nell’ambiente, a partire dalla dirigenza per arrivare ai giocatori. Il suo lavoro può essere veramente in grado di cambiare l’anima di una squadra che ormai sembra svuotata, giunta alla fine totale di un ciclo. Rigenerata e gasata dall’introduzione di un nuovo allenatore, che spesso vuol dire sinonimo di un nuovo inizio, ma che altrettanto spesso porta l’atmosfera a sgonfiarsi come un palloncino. In tal senso, diametralmente opposta era la situazione del primo José Mourinho, quando raccolse da Claudio Ranieri l’eredità di un team in crescita e, a conti fatti, un lavoro molto più agevole in partenza. Il problema è che Conte sta allenando una squadra che è stata fortemente criticata per la scarsa propensione al sacrificio negli ultimi anni, lacuna che ha causato l’esonero di due degli ultimi tre allenatori a tempo pieno. L’anno scorso, i giocatori del Chelsea sono stati spesso bacchettati per le loro tendenze eccessivamente egoistiche e per il fatto di essere poco interessati alle dinamiche della squadra. Ma, eccezion fatta per l’ingaggio di Kanté, il mercato estivo non ha portato molto altro per risolvere questo problema. Complice anche il deficit linguistico per cui Antonio non si può esprimere al meglio con i suoi giocatori, lui che delle parole fa una colonna portante della sua posizione.
Sabato, dopo la partita, con il suo inglese zoppicante ma in via di miglioramento Conte ha sbottato dicendo che la sua squadra è forte solo sulla carta. Ma chi, di preciso, gli ha detto che questo Chelsea è una squadra forte sulla carta? Di certo non i suoi predecessori. Non Mourinho, che accusava i giocatori di tradirlo. Non Guus Hiddink, il quale chiarì subito che riportare il Chelsea nelle zone alte della classifica sarebbe stata un’impresa difficile. Questa è una squadra che ha possibilità di chiudere tra le prime quattro, ma non di essere considerata una grande.
Questa non è una squadra di Conte. Per la prima volta il nostro Antonio si trova ad allenare una squadra con cui non si trova per niente in sintonia. Non è una squadra che fa appassionare e che tira fuori le unghie per dimostrare che la rabbia agonistica porta ovunque. Non è una squadra che rispecchia il suo leader, il suo colonnello, il suo generale di battaglia, che non ha la sua ambizione, la sua grinta e la sua mentalità. Non è una squadra che lo seguirebbe nel girone più basso dell’inferno dantesco, se ciò significasse andarsi a prendere la vittoria. Ma comunque, con una vittoria questo weekend tutto questo passerebbe in secondo piano. Perché se perdi sei un vigliacco, ma se vinci sei un eroe.
Tommaso Fiore