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Kevin De Bruyne: il tuttologo

Il calcio è una metafora della vita. Ne replica gli umori, i sentimenti, le virtù, i difetti, i drammi e le gioie. Non sempre, però, la sovrapposizione è perfetta. Perché talvolta, vedete, quel terreno verde ha la capacità di sanare quelli che nella vita extracalcistica continuerebbero ad essere considerati dei difetti. E’ il caso della cosiddetta “tuttologia”. Negli ambienti intellettuali,  viene definito “tuttologo” colui che con una certa tracotanza apre bocca sugli argomenti più disparati, andando ben al di là di quelle che sono le sue effettive competenze.

Tuttologia calcistica. Nel calcio, invece, la tuttologia ha trovato il suo terreno d’elezione. E’ considerata la virtù più grande che possa possedere un calciatore e mette d’accordo persino i tifosi avversari più fanatici. I quali, non avrebbero motivo di sfogare il loro senso critico (anzi, acritico) sui giocatori completi; quel senso acritico con cui, invece, colpiscono regolarmente i giocatori incompleti, benché fuoriclasse, concentrando la loro attenzione unicamente sulle loro mancanze. Frasi del tipo “Sì, ma Maradona giocava solo con il sinistro”; “Garrincha faceva sempre la stessa finta”; “Ronaldo non aveva il colpo di testa” non saranno mai pronunciate nei confronti dei giocatori a tutto campo, che hanno nella completezza tecnico-tattica la loro principale arma di seduzione. Al di là dei colori che indossano.

L’avidità. Uno dei maggiori esponenti della tuttologia calcistica contemporanea è senza dubbio Kevin De Bruyne, un giocatore che, per quanto corre, mette in evidenza le ristrettezze dimensionali del terreno di gioco. E’ proprio avido di erba, laddove anche in questo caso l’avidità non è un difetto: potere del calcio. Il giocatore del Manchester City e della nazionale belga, con il suo straordinario modo di stare in campo, rammenda tutti i buchi attraverso cui potrebbe insinuarsi una qualche critica. Del resto, appare davvero arduo censurare un giocatore che attacca, difende, accelera, rallenta, porta palla, si inserisce negli spazi, effettua assist e cambi di gioco. Con classe, si intende. Ma tutte queste qualità non gli varrebbero l’ambito titolo di “tuttologo” se non fossero impreziosite anche dalla capacità di andare a rete, che naturalmente possiede. Anzi, spesso l’indagine sui tuttologi del calcio parte proprio dal gol: per essere completo devi anzitutto segnare. Ma la cosa che colpisce particolarmente di questo giocatore è la lucidità che permea tutte le sue prestazioni e che, nell’arco dei novanta minuti, non lo abbandona mai, immune com’è alle fatiche fisiche. E’ una risorsa onnipresente cui Kevin può sempre attingere, soprattutto quando, eventualità più unica che rara, non si sta esprimendo ai suoi (elevatissimi) livelli abituali.

La lucidità. E’ quello che è capitato sabato scorso in Galles contro lo Swansea City di Guidolin. Per circa un’ora non abbiamo apprezzato il solito De Bruyne, nel senso che si era limitato a giocare bene, non benissimo. E alla sua proverbiale copertura totale del terreno di gioco, aveva accompagnato una insolita imprecisione nei passaggi e nelle conclusioni. Tanto che gli uomini di Guardiola, pur giocando bene, non stavano andando al di là dell’1-1 e non riuscivano a sfondare. Almeno fino a quando De Bruyne non ha fatto ricorso alla lucidità. Che infatti al minuto 64, sull’ennesimo inserimento, gli ha fatto conquistare un rigore (trasformato poi da Aguero con un delizioso cucchiaio); e tredici minuti più tardi gli ha consentito prima di interrompere un’azione offensiva degli Swans, e subito dopo di mandare in gol Sterling per il definitivo 1-3: un vero e proprio saggio di tuttologia racchiuso in due tocchi.

Insomma, giocatori del genere fanno la fortuna di tutti gli allenatori perché sono funzionali al gioco e alla squadra, e non presentano controindicazioni. Se non quella di assurgere a termini di paragone e, di conseguenza, esporre alle critiche più feroci i giocatori incompleti.

Luigi Fattore

This post was last modified on 29 Settembre 2016

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