Ultimo aggiornamento 22 Settembre 2016 8:22 di admin
A quel meraviglioso e misterioso agglomerato di ossa, tendini e muscoli che è il corpo umano è demandato il compito di custodire quell’entità astratta e spirituale definita “talento”. A voler essere precisi, è il talento stesso a conferire l’oneroso incarico al corpo. E lo fa per una ragione molto semplice: lo sa bene, il talento, che da solo non può nulla. Gioca costantemente in inferiorità numerica. E’ così in tutti i campi della vita, ma è nello sport che questa verità si palesa in tutta la sua evidenza, in particolar modo nel calcio, dove il talento è ‘corpodipendente’. Almeno questa è la regola. Perché talvolta, sapete, può capitare che madre natura mischi le carte in tavola e conferisca a pochi eletti una quantità spropositata di talento idonea a capovolgere i rapporti di forza, a far sì che sia il corpo a piegarsi e a recitare un ruolo marginale.
L’evasione. Qualcosa del genere deve essere capitata il 22 settembre 1976, esattamente 40 anni fa, quando nel quartiere di Bento Riberio, nella zona nord-ovest di Rio de Janeiro, veniva dato alla luce Luis Nazario de Lima, detto Ronaldo. Il Fenomeno è nato con una quantità talmente elevata di propensione al calcio – volendo usare un eufemismo – che ad un certo punto della sua straordinaria carriera, intorno ai 23 anni, il corpo non ha più retto. Era troppa la voglia del talento di uscire fuori e di imporsi su tutte quelle giunture che lo facevano sentire in prigione. Così, dal 1999 in poi, tendini, cartilagini e muscoli sono letteralmente schizzati via uno dopo l’altro. Come in tutti gli atti rivoluzionari il dolore iniziale fu lancinante, ma alla fine l’anima del fuoriclasse riuscì ad evadere. Aveva conquistato la tanto agognata indipendenza dal corpo. E una volta libera, arrivò nei posti che quando era in custodia poteva solo sognare. Salì sul tetto del mondo, per esempio. Il mondiale del 2002, infatti, Ronaldo l’ha vinto con l’anima, quell’anima che travestendosi da doppi passi, rapidità di esecuzione e tiri micidiali gli fruttò ben 8 reti.
Stile di gioco. Questi elementi identitari del suo stile di gioco gli sono sempre rimasti fedeli, a maggior ragione da quando ormai il corpo se ne era andato già da un pezzo per fatti suoi, a rompersi e a viziarsi. Per questo motivo portieri e difensori restavano letteralmente sgomenti e, insieme, incantanti da quel giocatore che aveva sì perso in velocità, ma che conservava la medesima rapidità di esecuzione. Che evidentemente è un qualcosa che non si allena e non si rompe, perché è parte del bagaglio del fuoriclasse. Così come la micidialità di quel suo tiro secco. Ronaldo ha conferito valore letterale all’espressione “l’ha colpita troppo bene”, che solitamente viene utilizzata per dire in maniera elegante a un giocatore qualsiasi che si è divorato un gol che è stato sfigato. Nel caso del Fenomeno, ad essere sfigati erano solo i portieri che se lo ritrovavano di fronte. Ronaldo, la palla, la colpiva soltanto bene. Non conosceva altri metodi. Perché ne rispettava la rotondità, e non si permetteva di viziarla con traiettorie demoniache. Quelli che viziava, invece, erano i suoi compagni di squadra: li portava sempre in vantaggio. Così come ha viziato tutti i tifosi che imprecano quando un giocatore di oggi si commuove davanti al portiere non sapendo cosa fare. Ronaldo è indirettamente responsabile della veemenza di queste imprecazioni, perché lui solo era il depositario del protocollo: dribbling e tiro secco. Punto. Con una facilità disarmante. La stessa facilità che esibisce ancora oggi nelle partitelle estive tra vecchi amici, in cui prima di infortunarsi fa in tempo a spedire la palla in rete alla sua maniera, cioè colpendola troppo bene. E’ la stessa storia che si ripete. Il corpo non gli impedisce di fare quello per cui è nato: buttarla dentro. Perché la verità è che mentre quel che resta del suo fisico oggi compie 40 anni, la sua anima di fuoriclasse non ha età. E segnerà per l’eternità.
Luigi Fattore