“Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?”. Queste le parole di una celebre canzone di Lucio Battisti, che possono tranquillamente adattarsi alla notizia del ritorno di Messi in nazionale.
Un ritorno “atipico”, dal momento che la Pulce ha abbandonato l’Albiceleste solo formalmente, in seguito all’ennesima delusione della finale di Copa América Centenario, persa ai rigori contro il Cile. Dopo quella dolorosa sconfitta, passata anche per un suo errore dal dischetto, Messi aveva detto addio, fine, basta. Tre finali perse in tre anni erano troppe anche per un vincente come lui, uno dei giocatori più forti della storia del calcio.
Ma spesso criticato per non aver mai portato quella sua aura vincente anche nella Selección, dove pur essendo attualmente il miglior marcatore di sempre non è mai riuscito a vincere qualcosa, eccezion fatta per l’oro olimpico di Pechino 2008, che però nel calcio ha smesso di essere considerato come l’apice della carriera da un’ottantina d’anni. Un continuo processo, insomma, per un campione incapace di vincere qualcosa una volta svincolato dal contesto Barça; una pressione che lo ha portato a lasciare spesso qualcosa di più del sudore in campo, come confermano i suoi attacchi violenti di “mal di stomaco“.
Troppa ansia? Troppe aspettative? Forse una miscela di più cose, fatto sta che Messi, dopo le tante batoste, di cui due decisive da parte del Cile, aveva deciso di dire addio. Come i pugili, dopo aver preso due ganci, si accasciano per far sì che l’incontro finisca, così aveva fatto Leo. Scelta che aveva fatto storcere il naso, mandando immediatamente sulla difensiva i sostenitori del 10 argentino e portando inevitabilmente al visibilio i tifosi di Cristiano Ronaldo, il rivale di sempre, che pochi giorni dopo quell’addio si è laureato Campione d’Europa.
Il portoghese, infatti, è stato spesso criticato allo stesso modo per non aver mai trascinato abbastanza avanti il suo Portogallo, anche se le due nazionali non sono minimamente paragonabili, né per tradizione, né per valore tecnico. Ma la vittoria a Parigi contro i Blues da parte di Ronaldo & co. ha spazzato via anche queste critiche. Il tutto mentre la stabilità di Messi andava via via peggiorando, se di “instabilità” si può parlare per un taglio di capelli e un’acconciatura della barba poco tradizionali.
La federazione argentina, una volta liberatasi del Tata Martino, ha puntato tutto su Edgardo Bauza, sconosciuto in Europa ma un vero profeta in Sudamerica: le due coppe Libertadores vinte, con due incredibili outsider come il LDU Quito e il San Lorenzo, sono già entrate nella leggenda e ora si spera che possa confermare il miracolo alzando la coppa più dorata e importante del mondo al centro del Luzniki di Mosca.
Per farlo, però, ha bisogno di tutti i giocatori al completo: sta a lui il compito, durissimo, di ridare speranza a una squadra che arriva sempre in finale per poi non spuntarla mai per un soffio. Stava a lui il compito di chiedere a Messi di fare uno sforzo e di tornare a giocare per vincere.
Si dice di Bauza che sia un tecnico a cui “è impossibile dire di no“. Voci confermate dato che, tra i convocati, spunta proprio Leo Messi. Ora, potrebbe sembrare assurdo criticare Messi per un ritorno, dopo averlo criticato per un addio. Ma invece ha un senso apostrofarlo, perché un capitano non fa così. Sarebbe un po’ come se Maldini, dopo la finale di Istanbul avesse detto “No basta, me ne vado” per poi restare perfettamente al suo posto, magari rassicurato da un rincuorante aumento di stipendio.
O un Totti che dopo lo scudetto sfumato nel 2010 appendesse gli scarpini al chiodo, salvo poi “schiodarli” per tornare regolarmente a Trigoria. E la lista potrebbe essere infinita, ma altri grandi campioni, anche molto legati alla loro squadra, come Gerrard e Del Piero, hanno dimostrato che le storie d’amore possono anche finire. Ma se devono finire, che finiscano. Altrimenti sono un po’ come quei rapporti in cui non ti trovi più bene col partner ma per non lasciarlo rimani ancorato ad emozioni che si sono ormai dissipate col tempo.
Un capitano dovrebbe avere anzitutto il coraggio di non lasciare, mai, nemmeno dopo la più dolorosa sconfitta. Ma, qualora si decida ad andarsene, deve avere altrettanti “attributi” a restare a casa, magari vedendo i suoi compagni vincere senza di lui, facendolo rosicare e pentire per tutta la vita.
Anche se, come dice proprio Battisti, “lasciarti non è possibile / no lasciarti non è possibile / disperazione gioia mia / sarò ancora tu sperando che non sia follia“. Che probabilmente è quello che spera anche Bauza, in vista di un delicatissimo Argentina-Uruguay, 2 settembre, ora italiana 1:30.
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