Undici metri possono cambiare la storia. Un tiro, alto, fa calare il sipario. E ti ritrovi solo, ancora una volta, con la testa china e le lacrime agli occhi: è finita come non doveva finire, con una sconfitta, l’ennesima in finale, la terza consecutiva. Una maledizione, non c’è altro modo per definire tutto ciò. Non destino, non volontà di un essere più grande di tutto e tutti. Il sogno, accarezzato più e più volte, è svanito proprio quando stavi per stringerlo: lo sentivi, finalmente era tuo, non poteva togliertelo nessuno, non ora e non in certe condizioni. Ed invece pensi a quanto può essere cattivo il calcio, proprio lui, che ti ha dato tutto. Pensi a quanto siano duri certi colpi, a quanto facciano male certi schiaffi. Non agli altri, s’intende, ma a te, te che ti chiami Leo Messi e sei, all’unanimità, ritenuto il più forte attualmente in attività. Ma il mondo domani andrà avanti lo stesso, prima o poi si dimenticheranno tutti, o quasi, di questa sconfitta: non tu. Molli ma ti prendi una notte per pensarci, perché ti fa male il cuore, perché ancora una volta pensi di aver deluso te stesso, la tua Argentina, tutta, che ti aspetta ormai da tanto, troppo tempo. Torni a vedere i fantasmi, le ombre ti perseguitano: i più grandi con quella maglia hanno vinto, tu no.
Ti fermi e rifletti, passi una notte insonne, sei solo, nella solitudine del numero dieci, quello dei più grandi, la tua seconda pelle. Non c’è qualcuno che possa capirti, non c’è qualcuno che lo voglia fare e tu abbassi la testa e ti allontani, nel buio, con la luce che progressivamente viene meno e la tua ombra che scompare nelle tenebre. Guardi e riguardi il soffitto della tua stanza, ti danni ancor di più: la tua straordinaria grandezza è diventata mestamente piccola, effimera. Vuoi scomparire, lo vuoi Leo, perché ti senti incredibilmente insignificante, una
E poi ci sono le fragilità del numero dieci, quelle antipatiche etichette che non mancano mai: insignificante con l’Albiceleste, nel Barcellona vai bene e danno i meriti ai tuoi compagni, geniali, ad un gruppo eccelso, ad una squadra costruita minuziosamente in decenni e decenni di lavoro, investimenti, pianificazioni. E poi c’è il peso di un Paese intero: per milioni di argentini sei il “Diez”, il predestinato, l’uomo capace dell’impossib
Rifletti sulle tue parole. Sì, hai detto “lascio, perché evidentemente non so vincere con questa maglia, non fa per me, ci ho provato tre volte” – proprio così. E ricordi la tua espressione, quella che sa di sconfitta e tu non sei abituato a perdere. Deluderai milioni di tifosi, sarai etichettato come perdente, come codardo, come capitano che abbandona la nave mentre affonda, al posto di restare per scongiurare il naufragio e riemergere più forte. Ma azzardare, spesso, è un rischio: ti resta una sola cartuccia nel fucile, si chiama Russia 2018 e ti chiedi se ne valga o no la pena: ci ripenserai sicuramente, nelle prossime ore, settimane, mesi, forse sì, forse no. Forse tornerai, forse no. Farai come l’Araba Fenice, risorgerai, o resterai al tappeto. Ce lo dirà il tempo, mio caro Leo. Sai solo che è oramai mattina e dalla brughiera dell’esistenza sono sparite anche le ombre: sei rimasto tu, Leo, solo, numero dieci dei dieci, a chiederti chi o cosa sei. Nel nulla più assoluto.
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