Nemmeno il tempo per riprendersi dall’ebrezza (morale e fisica) della vittoria degli Azzurri sulla Spagna che è già ora di buttarsi a capofitto su un’altra sfida emozionante, romantica, avvincente.
Ottavo che, per chi scrive, è quasi un derby: da una parte la nazionale di chi ha inventato il calcio, passando la vita a vedere gli altri migliorarlo e insegnarlo a loro volta; dall’altro lato, la squadra che è diventata un po’ la preferita da tutti, un po’ mainstream per così dire. Quell’Islanda fatta di undici vichinghi, scesi nel continente per guadagnare la gloria e un lasciapassare per il Valhalla di norrena memoria.
L’Inghilterra, che deve vincere per raggiungere gli odiatissimi Blues francesi ai quarti di finale (che per giustizia andrebbero giocati ad Agincourt, ma va bene anche il Saint-Denis), si lancia in campo con un 4-3-3 che stravolge la formazione del (deludente) pareggio con la Slovacchia: Hart tra i pali, Walker, Cahill, Smalling e Rose in difesa, Alli, Dier e ancora, inspiegabilmente, schierato interno di centrocampo Rooney, a dar manforte al tridente Sturridge – Kane – Sterling.
L’Islanda risponde con i suoi impronunciabili cognomi del temibile 4-4-2 nordico: Halldorsson in porta, Saevarsson, Arnason, Sigurdsson R. e Skulason in difesa, Gudmundsson, Sigurdsson G., Gunnarsson e Bjarnason a menare a centrocampo, dietro le due punte Sigthorsson e Bodvarsson.
Nemmeno cinque minuti e l’Islanda capitola: Halldorsson interviene malissimo, abbattendo Sterling entrato di gran carriera in area: Skomina decide per il rigore. Dal dischetto va Rooney, che dagli 11 metri non può sbagliare. Il portiere islandese intuisce, ma il tiro è troppo potente. E’ 1-0.
Ma Thor e gli altri dèi nordici hanno deciso che non deve essere così facile per Hodgson e i suoi: l’Islanda reagisce subito al colpo subito, prende palla, mette paura alla difesa. Arnson la butta in mezzo: la lisciano un po’ tutti, tra attaccanti islandesi e difensori inglesi. All’ultimo piede però, la palla decide che quella scarpa, la scarpa di Ragnar Sigurdsson, va baciata. E il pallone che, si sa, è un farfallone, decide subito dopo di baciare la rete. Pareggio, dopo nemmeno un minuto.
E un’altra piccola pagina di calcio è già stata scritta, da parte di questi Ice Men, che saranno pure glaciali ma hanno un fuoco sacro dentro che li anima, e che li fa dannare su ogni pallone. E non importa se nel giro di 3 minuti ci provano prima Alli, che sfiora il gol di un niente, e poi Kane, che sbaglia anche lui di pochissimo.
Basta una ripartenza, una corsa a perdifiato, un tiro. Che viene parato da Hart, ma non con la decisione sufficiente. La palla gli scivola dalle mani. E quel tiro insensato, sofferto, “sprecato” di Kelbeinn Sigthorsson diventa oro, oro colato. E’ già sorpasso dell’Islanda.
L’Inghilterra non può fallire e ci prova, con tutto il cuore. Con tutti e tre i cuori dei Tre Leoni. Ci prova Kane, che deve riscattare un europeo fin qui pessimo. Al 27°, una girata stupenda, ma il portiere islandese in maglia color erba e cognome impronunciabile decide che non è ancora ora e devia in angolo.
Il copione della partita è tutto lì, Inghilterra che fa la partita, Islanda che riparte in contropiede cercando qualche miracolo, come quando al 33° il numero 23 islandese, Skulason, prova la gran botta, col pallone che esce di un soffio. Quasi tre minuti dopo ci riprova Sigurdsson (quello “bravo”, quello che gioca nello Swansea), ma niente, finisce il primo tempo, con la nazione che è scesa in Francia con la speranza di segnare un gol, e si trova momentaneamente proiettata al quarto di finale contro i padroni di casa.
Ricomincia la partita con lo stesso spartito del primo tempo: Inghilterra a manovrare, Islanda che aspetta il piglio giusto per ripartire. Cambiano però gli interpreti: Hodgson toglie Dier e schiera Wilshere per essere più competitivo.
Al 54° è ancora l’Islanda a farsi pericolosa, con una serie di rimpalli di testa, poi una rovesciata di Sigurdsson (quello “scarso”, quello che gioca in Svezia e che ha già segnato) che viene però reattivamente parata da Hart. E’ l’ultima goccia, Hodgson approfitta dell’ennesima fumosa azione di Sturridge per toglierlo e mettere dentro l’uomo più atteso di questo europeo: Jamie Vardy.
Ma il Re Mida del calcio inglese non riesce a cambiare il ritmo come vorrebbe: prima viene chiuso perfettamente, poi l’Islanda continua a ripartire, cercando il gol con un autentico tiraccio da parte di Saevarsson.
A dieci minuti dalla fine l’Inghilterra ci riprova, con un bel colpo di testa di Harry Kane, ma Halldorsson dice no, salvando dal pareggio l’Islanda che continua a sperare in uno storico risultato che la galvanizza in vista della Francia, non eccellente ieri contro l’Irlanda.
Due occasioni consecutive per l’Islanda intorno all’80°, con Gunnarsson che prova il tiro ma Hart è attento, e poi sul calcio d’angolo a seguire ci riprova Arnason, ma il pallone non vuole più entrare.
Ci provano Vardy, poi Rashford di testa, ma niente. Arriva il primo, arriva il secondo e arriva il terzo fischio. Nulla da fare per Vardy, Rooney, Kane, Hart e Hodgson. Il calcio conosce ragioni che la ragione non conosce e così un’Islanda mai doma, mai battuta, guidati da una straordinaria buona stella, continua a disfare le valige.
Avanza il cuore, avanza quella controfigura di Chris Hemsworth di Birkir Bjarnason, avanza il capitano dalle mani potenti come una catapulta Gunnarson, avanzano i Sigurdsson (quello “bravo” e quello “scarso”), avanza il portaborracce con qualche chilo di troppo, avanza un popolo che è presente in Francia per circa un decimo della sua popolazione totale.
Male, malissimo l’Inghilterra. Una spedizione senza capo né coda, persa tra le scelte incomprensibili di Hodgson e un Hurricane che sembrava più una brezza estiva. L’Inghilterra non è mai sembrata del tutto padrona del campo: un pareggio all’ultimo minuto con la Russia, una vittoria soffertissima col Galles, pareggio a reti bianche con la Slovacchia e poi rimontata dall’Islanda. La crisi generazionale è evidente; che Hodgson debba lasciare una panchina che forse non ha mai meritato, è altrettanto palese.
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