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L’arte di crederci sempre

Ha ragione chi vince. Nel bene, nel male, nel nulla. Ha ragione chi vince perché quel che conta è il risultato, e non come l’ottieni. Ha ragione chi vince perché alla fine è importante andare avanti, proseguire verso il sogno, non spogliarsi del cuore puro degli azzurri.

Ha ragione Antonio Conte, allora. Ancora una volta. Ha ragione con un Eder versione acchiappamosche – nel senso buono, perché lo lanciano ovunque -, e ha ragione con una difesa ortodossa, convenzionale, mai banale. Ibra sbatte, ribatte e oltre il muro azzurro riesce a scorgere il sogghigno di Buffon che si prende un’altra giornata di ferie. Pure ben pagata.

È un’Italia tignosa che però sa vivere la sua vita. Esce palla al piede, vede gioco, fa amicizia con la traversa altrui dopo il solito guizzo di un Giaccherini latin lover: è lui la qualità di questa squadra, lui il cambio di passo, lui il dribbling secco e la possibilità di superiorità numerica. Divora erba e mastica amaro su quell’unica, enorme, occasione: l’avesse sporcata di più, Parolo, staremmo parlando di un epilogo simile. Ma profondamente diverso.

L’arte di crederci sempre è però questa: lottare, misurarsi, sapersi costruire attorno un villaggio di punti forti che non lasciano passare i limiti. L’Italia non è solo la difesa come la Svezia non era solo Ibra: c’era Guidetti e c’era Candreva, c’era qualche sportellata di Granqvist come c’era il lavoro sporco e le sponde di Pellé. C’era una squadra che in campo sapeva starci, che davanti poteva creare, che in mezzo non concedeva ossigeno a De Rossi. E ancor meno a Bonucci.

Come ribaltare il fronte? Se perdi l’unica qualità che hai, rispondi con le armi a disposizione: l’amore per la maglia, la disciplina, la convinzione di un ragazzo poco più che ventenne che si ritrova a rappresentare il proprio paese. Simone Zaza sarà anche abituato a certe immagini, ma non a certe emozioni. Entra, lotta, dà e tiene botte. Poi s’intestardisce, quindi la sponda.
Zigzagava il mondo, Eder. È stato come se non sapesse fare altro, come se il destino gli avesse messo quella palla sulla trequarti. E che lui, il mezzo italiano, l’uomo da un solo gol nel girone di ritorno, quello deriso e di tanto in tanto anche umiliato, non dovesse fare nient’altro che quel doppio dribbling con destro secco sul palo lungo. 

Vince l’Italia, ha segnato Eder. Che poi ripiegava e dava manforte ad una difesa stoicamente impenetrabile.
Andiamo agli ottavi: ce la giocheremo con chiunque. Senza paura.

Con l’arte di crederci. Sempre.

Cristiano Corbo

This post was last modified on 17 Giugno 2016

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