Prima regola del giuoco del calcio: vince la squadra che segna più reti. Scontato, banale. Ma dai, come fate a non saperlo? Persino i neofiti lo sanno, è la prima cosa che imparano. Già, i neofiti. Peccato che talvolta, a non ricordare le regole di questo magnifico sport, siano quelli che lo praticano da tutta la vita. In fondo Euro 2016 è così: una polveriera in cui il mondo sembra capovolto: a creare danni sono i tifosi e non lo spauracchio dell’Isis. In uno scenario in cui si sprecano le situazioni bizzarre (vi dicono nulla la mano di Loew e il pantalone del pigiama di Király?), capita anche che un commissario tecnico navigato rovesci le regole di questo sport.
Marc Wilmots è rimasto deluso dal 2-0 subìto dal suo Belgio contro l’Italia. Lo capiamo e lo accettiamo. Ma quell’esternazione che suona come una via di mezzo tra un gigantesco luogo comune e una patetica giustificazione poteva anche trattenerla nei suoi affollati pensieri. “Siamo stati battuti da una squadra che non gioca al calcio”. Meno male che a ricordarcelo c’è lui, il magico Marc. Che, invece di cercare rimedi all’imbarazzante prestazione della sua golden generation, attacca l’Italia. Il calcio, però, è altro: vince la squadra meglio organizzata, non quella che vanta più stelle. Vince la squadra più concreta, non quella che passa il tempo a specchiarsi. Vince la squadra che segna, non quella che impatta in un muro ogni volta che cerca di imbastire un’azione.
E meno male. Meno male che il calcio è questo. Perché se il calcio fosse quello professato da Wilmots allora non sarebbe il nostro sport. Se bastasse mandare in campo 11 fuoriclasse senza dargli un minimo di organizzazione tattica, senza inculcargli il culto del lavoro e la volontà di fare gruppo, allora non esisterebbero favole come quella del Leicester. E questo sport non avrebbe alcun senso. Non esisterebbe la speranza di assistere a Davide che sconfigge Golia, non ci sarebbero i settemila islandesi al seguito di una squadra semi-dilettantistica, non si spiegherebbe la leggenda della Grecia campione d’Europa nel 2004. Non si spiegherebbe, a dire la verità, neppure la vittoria dell’Italia contro il Belgio. E invece un modo per spiegarla c’è: chiamasi tattica, organizzazione, sacrificio. Chiamasi calcio. E’ il succo di questo sport.
Già, caro Wilmots, per vincere serve ben altro: umiltà, in primis. Quella di accettare le colpe e i limiti tattici di una squadra forte solo sulla carta. Serve la consapevolezza di ammettere gli errori e saper ripartire, di non sottovalutare gli avversari, anche se definiti “bolliti”. Magari quei ragazzi catenacciari in maglia bianca e pantaloncino azzurro possono insegnarti qualcosa: no, non basta avere una golden generation per vincere. Altrimenti potrebbe riuscirci qualsiasi allenatore: persino tu.
Vittorio Perrone (@pervi97)
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