Padroni del mondo, o giù di lì. Dominio assoluto: 2008-2010-2012, tutto a tinte tremende rosse. Un assolo, un dominio dispotico. Nessuno come loro, un monopolio irripetibile, l’apogeo di una generazione di talento ed idee. Un movimento esplosivo, deflagrante. Spagna, que viva Espana, nient’altro. Poi, Brasile 2014 che spegne i sogni di gloria, giusto, anche fisiologico del resto. Ma quel tasso di classe immensa non poteva di certo svanire con uno schiocco di dita, nel pantano di quel girone dove a spuntarla furono Olanda e Cile. Impossibile, infatti così non è stato. La Roja è viva, vivissima, favorita – per merito e valore – del girone D, in un crogiolo di estro che terrà tutti gli amanti del giuoco incollati allo schermo. Spagna da un lato, Croazia, Turchia e Repubblica Ceca dall’altro. Niente di già scritto, tutt’altro, perché l’Eupalla porta in dote sorprese a cui è sempre difficile, impossibile non ricambiare lo sguardo.
Armata Roja. Li fermi chi può, chi ci riesce. I favori del pronostico, forse, non tutti dalla loro parte con la luce dei riflettori meglio puntati su Germania, Francia e Belgio, ma la Roja resta un’armata, inutile girarci intorno. Nel 4-3-3 ad immancabile impronta Barça c’è tutto, scorgere dei difetti sarebbe persino pretenzioso. Dai guerrieri plurititolati, forgiati da trionfi e innimerevoli contese, i Grandi di Spagna, alle nuove, talentuosissime leve. La compattezza dietro è, salvo scossoni, una certezza. Da De Gea alla coppia Pique-Sergio Ramos passando per Jordi Alba e Bellerin sugli esterni, con il monumento Atleti Juanfran a scalpitare. Tutte le premesse per un muro su cui impostare le proprie fortune, poi a partire dalla metà campo, occhi lucidi e potenziale immenso: l’ordine e le geometrie di Busquets, la duttilità, la sapienza tattica e le doti atletiche e tecniche di Koke, il motore dei Colchoneros di Simeone. Poi c’è l’estro della leggenda, l’uomo della finale, della Coppa più importante. L’architetto capace di rendere reale ogni traiettoria. Mutare i varchi più assurdi, inconcepibili, in pura naturalezza: Don Andrès Iniesta Lujàn, dalle sue intuizioni, dal genio del classe ’84 di Fuentealbilla passerà giocoforza tanto delle fortune delle Furie Rosse. Fantasia in ogni dove, da Silva, a Fabregas fino a Thiago Alcantara. Tanta, troppa grazia. In avanti scelte al passo con i tempi, a casa il naturalizzato Diego Costa, spazio a Morata, parola al campo più che alle mille voci di mercato. E occhio a quei due, Nolito e Aduriz, quasi 66 anni in coppia, ma proprio per questo affamati. Bucanieri dell’area di rigore che l’occasione più propizia, sicuro, non la lasceranno sfuggire con tanta superficialità. Ah, giusto, per chiarire, c’è anche Pedrito, 17 reti con la Roja, campione di tutto tra club e Nazionale, uno che quando la palla scotta la azzanna, non scappa. Tutto sotto lo sguardo sornione di Vicente Del Bosque, monumento dell’iberico pallone, mattatore ovunque si sia placidamente accomodato in panchina. E al canto del cigno di una meravigliosa avventura.
Sognando la storia. Gli ingredienti giusti, una squadra non più pronta semplicemente a stupire, ma a confortare i pareri di una critica che non può più tralasciarne stimmate e ruolo di primo piano nel contesto europeo. Per la Croazia, c’è la scia della leggenda del gruppo di Prosinecky e Suker da seguire, del resto il gruppo del cittì Cacic ha qualità ed esperienza per essere la vera mina vagante della competizione. Un Europeo persino a rischio, ad un certo punto del girone di qualificazione, poi la scossa ed un pass ottenuto con pieno diritto. L’esperienza di capitan Srna, il valore di prospetti – ormai già maturi – come Jedvaj e Sime Vrsaljko. In mediana e sulla trequarti i lampi di classe si sprecano, abbagliano. Da Kovacic a Brozovic, giovani ma già avvezzi a grandi palcoscenici. Gioiellini come Ante Coric, stella della Dinamo Zagabria e sui taccuini di tutti i maggiori top club europei. E poi le stelle più luminose: Modric, Rakitic e Perisic (capocannoniere nel girone di qualficiazione con 9 reti), un trittico con pochi eguali a tessere le fila, raccordo tra metà campo e attacco. Classe cristallina, visione di gioco, rapidità di esecuzione e un vizietto del goal sempre caldo, bollente, in canna. Un assortimento pazzesco a foraggiare gli spunti sotto rete di Mario Mandzukic – sono 24 gli squilli con la maglia a scacchi – senza tralasciare le velleità di Nikola Kalinic, sei mesi da craque a Firenze ed un finale di stagione così così, ma tanta voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo in una contesa, alle porte dei trent’anni, che sa di grande occasione. Generazioni che si incrociano, tra aspettative da coronare e fondamenta da costruire, un mix che potrebbe celare notevoli sorprese a partire dalle prime gare. Parola al campo, alle giocate in terra francese, respirando – dicevamo – il profumo delle storiche imprese di 18 anni orsono. Correndo, chissà, verso un nuovo, grande, sogno, come nel Mondiale 1998, quando solo la doppietta di Thuram spezzò l’incantesimo.
Le contendenti. Due big, o quasi, e alle spalle due contendenti pronte a sparigliare carte ed equilibrio. Il passaggio alla fase ad eliminazione diretta traguardo e ambizione. La Cekia del tecnico Vrba tutto – o quasi – nelle mani di Peter Cech. Monumento di un movimento lontano dai fasti a cavallo tra la metà degli anni 90 e gli anni 2000, vero, verissimo, ma che non parte di certo battuto, questione di indole. La finale del 1996 o la semifinale del 2004 più utopia che altro, ma l’obbligo è il solito, osare, tentare, si può. La sicurezza della retroguardia passa dalla classe dell’estremo difensore ex Chelsea, reduce da una buona annata, di rilancio, con la maglia dell’Arsenal. A centrocampo molto dipenderà dal rendimento e dall’esperienza di Rosicky – 101 presenze e 22 reti con la sua Nazionale – e Plasil, in avanti parte con leggero vantaggio Tomas Necid, passato da predestinato e presente al Bursaspor. Attenzione alla Turchia dell’Imperatore Fatih Terim, una qualificazione conquistata con le unghie, all’ultimo respiro, sopravvivendo ad un girone che ha mietuto la vittima più illustre di Euro 2016, l’Olanda a casa, loro in Francia, ovvio giocarsi tutte le carte possibili, persino qualcosa in più. Metà del potenziale, tra Bosforo e Dardanelli, risiede nel carisma del dieci, Arda Turan. Cuore, talento, forza fisica e personalità nella guida delle Stelle crescenti. Il Barça punto di arrivo, ma spesso anche un tritacarne – chiedere ad Ibra, per dire – e quel parcheggio forzato fino a gennaio che di certo non ha aiutato. Ma nulla che scalfisca le stimmate da leader maturato sul campo, con 91 presenze e 16 reti con la maglia della sua Nazionale. Garra e abnegazione a tutto campo affrancate dal talento di Hakan Calhanoglu, stellina classe 1994 in forza al Bayer Leverkusen. Grande visione di gioco e capacità di calcio a dir poco siderale, una sentenza sui calci piazzati. Per gli uomini di Terim, qualche dubbio sull’affidabilità difensiva, ma, oltre ai protagonisti già citiati, tanto talento anche nei profili di Emre Mor, diciotto anni di spunti nel breve e cambi di passo ubriacanti, con la benedizione di Tuchel e l’approdo ormai prossimo al Borussia Dortmund. Poi Oguzhan Ozyakup, 9 reti e 7 assist a trascinare il percorso del Besiktas campione di Turchia e senza dimenticare Nuri Sahin, reduce da un’annata falcidiata da infortuni a Dortmund ma pronto a dire la sua. I tempi della 5 con il Real di Mourinho sono lontani, ma il valore del giocatore resta indiscutibile.
Edoardo Brancaccio
This post was last modified on 9 Giugno 2016
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