Ultimo aggiornamento 18 Maggio 2016 23:14 di
Sollevamento pesi (dallo stomaco). Sollevamento trofei (al cielo). Ancor più, sollevamento d’animi. Emery forse ci ha preso gusto, di sicuro ne sta godendo meravigliosamente. È campione d’Europa, sebbene in versione light. Ma soprattutto: va in Champions. Anche dopo un campionato discutibile, anche dopo appena 52 punti ed un mare d’incertezze. Anche dopo essere stata l’unica squadra spagnola a non aver mai vinto in trasferta. Ecco: ha dovuto prendere un biglietto per la Svizzera. Però ce l’ha fatta: perché Basilea è il posto giusto per rinascere. E se sei il Siviglia, pure per scrivere la storia.
Hanno vinto. Han vinto la terza Europa League, l’han vinta di fila. E senza Bacca, e senza Rakitic. E senza Aleix Vidal a destra, Reyes sullo stesso lato. E con un Konoplyanka fuori, un Llorente relegato in panchina, un Immobile dato via subito a gennaio. E con Coke dapprima dimenticato e poi uomo del destino. Strani giri, che col campo poi chissà quanto hanno a che fare. Alla fine? Il protagonista resta sempre lo stesso: leggasi Unai Emery, dicasi leggenda. Perché questa è la prima squadra a conquistare tre diverse edizioni dell’ex Uefa, portando a 5 il record di EL detenute da una singola squadra. Sì, è che dal 2005 in poi è (quasi) sempre stata roba loro.
Tremendi. In ogni accezione, in ogni singolo particolare. Sin dai brividi del sinistro di Sturridge, dalle imbucate di Lallana, dai polmoni d’acciaio di Clyne. Con quei quarantacinque minuti d’una lunghezza esasperante, fatti di martelli pneumatici che mal si sposano con il candore di una domenica mattina trascorsa rigorosamente a letto. Sembrava finita, poi la risalita. Sembrava chiusa lì, poi qualcuno ha parlato. Sembrava persa per sempre, poi la storia ha anticipato il suo corso.
La discesa dagli inferi è stata un climax di sensazioni: è partito tutto dal sollievo di qualche svista, poi ha proseguito con la rabbia e la cattiveria al ritorno in campo. Infine, il recupero: paziente, voluto, saggiamente costruito. Prima da Gameiro, poi chiuso da Coke. Il terzino, l’uomo che avrebbe dovuto vederla dalla panchina. Proprio come a Varsavia, un anno fa. Ah, stesso risultato. Insindacabilmente senz’appello.
No, per quanto gli episodi abbiano condizionato totalmente la partita, non chiamatela fortuna. Semmai, è più appropriato parlare di sorte, di destino, del più classico dei “così doveva andare”. E così è andata, irrimediabilmente e romanticamente. Perché in una stagione dai forti contorni emozionali, l’incredibile vicenda del Siviglia si frappone con la giusta presunzione e con infinito orgoglio. Perché in un’annata in cui tutto era da buttare, dimenticare, raccattare, la luce della solita – ma non scontata – ancora di salvezza ha reso il tutto meno amaro. Anzi: ha rischiarato completamente. Orizzonti, futuro, ambizioni.
Questa sera a Siviglia si fa festa. Habitué da un po’, vero: però stavolta si celebrerà con più forza, più veemenza, più intensità. Perché quando tutto è nero, risalire la china non è solo più difficile, ma anche più snervante e logorante. C’è ‘sto buco dentro che ora, colmato, ha voglia di uscire e di tornare alla leggerezza di un tempo. C’è questo Siviglia che, nel suo piccolo, ha riscritto ancora una volta le pagine di questo sport.
No, non sottovalutatelo. Se potete, ammirate. Perché non si vive di solo Barça, Real, Juve. Ma di attimi: più o meno belli. Però tutti importanti. Come Unai e i suoi ragazzi: enormi. E con il loro posto tra i più grandi di sempre.
Cristiano Corbo