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Grazie di tutto Luca Toni: eterno ragazzino, bomber vero, ultimo nove di scuola italiana

Il quattro maggio, per il calcio italiano, sarà sempre un giorno importante. Triste, perché si ricorda la fine del Grande Torino, la squadra che solo il fato vinse. Fatte le dovute differenze, viene spontaneo prevedere che, molti, dal prossimo anno ricorderanno questo giorno come quello dell’addio al calcio giocato di Luca Toni. Ebbene sì, il centravanti dell’Hellas Verona, con trentotto primavere sulle spalle, ha deciso di appendere le scarpette al chiodo ed uscire dai campi di calcio, gli stessi che ha calcato per ben ventidue anni in un viavai che, da Modena, l’ha portato a Berlino, poi a Monaco di Baviera: un viaggio che sembrava interminabile e che si conclude oggi. Abbiamo deciso di scrivere una lettera a Luca: ci piace pensare che, da qualche parte, un giorno, la leggerà, tra un sorriso ed una lacrima. Quel che segue è un omaggio, un semplice ringraziamento ad un grande centravanti, all’ultimo bomber di scuola italiana, l’ultimo “nove” del nostro calcio.

Caro Luca,
È venuto il momento di salutarci e dirci ciao. Sì, perché quelli come noi, innamorati di questo sport, di quella palla che rotola infinitamente, non possono mai pensare che gli addii esistano. Soprattutto dopo aver visto un ragazzino di trentotto anni nascere, cadere, rialzarsi, ritornare più forte di prima ogni volta, diventare capocannoniere, proprio in Serie A, il campionato più bistrattato del mondo eppure il più affascinante e difficile per tutti, anche per i campioni più osannati e blasonati. E tu sei, incontestabilmente, uno di quelli. Ne è passato di tempo da quando, da Modena, è cominciato il tuo viaggio. Un interminabile girovagare passando per Treviso, Vicenza, Brescia. Unici tuoi compagni la palla e quel gol che è sempre stato parte del tuo DNA: la parola bomber ti si addice a meraviglia.  Trecentoventitré gol tra i professionisti, non sono un caso; per sei volte con più di venti gol in campionato non è roba da tutti; centocinquantuno gol in A non sono un caso. Poi Palermo, in due anni che non si dimenticano facilmente: ottanta presenze e cinquanta gol per una piazza che con te, grazie a te, ha sognato ad occhi aperti per risultati molto, molto più grandi di una semplice salvezza. Poi Firenze e la consacrazione, la classifica cannonieri vinta per la prima volta con trentuno gol e la conseguente Scarpa d’Oro, nel 2005-2006, preambolo di vittorie ben più grandi. Ricordi, Luca, Berlino? La Coppa del Mondo, il trionfo con l’Italia di cui sei stato l’ultimo nove vero, ultimo centravanti di razza con la casacca azzurra e protagonista, a modo tuo: prima con la testa, su pennellata di Totti, in quell’Italia-Ucraina che ci apriva le porte della semifinale vinta poi con la Germania; poi con il tap-in vincente, su spunto di Zambrotta. Che ricordi incredibili, da pelle d’oca. E poi la tua esultanza, agitando le mani: ma quanti bambini e ragazzi, all’epoca, tentavano di emularla? Tanti, troppi. Perché tu, Luca, sei stato quel ragazzo di provincia che aveva dimostrato a tutti di potercela fare, nel calcio come nella vita, anche partendo dal nulla. A Trent’anni poi il Bayern Monaco, l’ultima grande occasione, forse, nel calcio che conta: protagonista anche lì, con il titolo di capocannoniere. Ventiquattro reti in Bundesliga, dieci in Coppa Uefa. L’anno dopo ancora su grandi livelli, con quattordici sigilli. In Germania le cose vanno male e dunque meglio andare altrove: sembrava il tuo canto del cigno, invece era l’ennesima rinascita. Roma, poi Genova, sponda rossoblù; poi Juventus (col primo gol nel nuovo Juventus Stadium) ed infine l’Al Nasr. Poteva essere il punto d’arrivo di una carriera di per sé già straordinaria: nemmeno per sogno. Ancora Fiorentina, poi Verona: hai bevuto alla fonte della giovinezza, a quanto pare. Due anni d’oro, venti e ventidue gol, capocannoniere in Italia per la seconda volta nonostante l’età, un esempio per i ragazzini agli inizi. Poi l’ultimo, difficile anno. Panchine, delusioni, infine la retrocessione e la parola fine: che storia da brividi.

Vogliamo dirti grazie, caro Luca: perché ci hai fatto sognare, perché ci hai fatto gioire e piangere. Un tuo gol, contro la nostra squadra del cuore, era facilmente prevedibile: hai praticamente segnato a chiunque ed in ogni modo. Testa, piedi, con la furbizia del centravanti puro, quello rapace, d’area di rigore. Col fisico, dimenandoti tra gli avversari, facendo la lotta contro chiunque senza mai fermarti. Ed è proprio uno strano scherzo del destino che tu abbia deciso di ritarti nello stesso anno in cui, dall’altra parte del mondo ha detto addio un’altra leggenda dello sport: Kobe Bryant. Perché il fisico c’è, ma la testa va da un’altra parte, non segue più quella palla. Ed allora è giusto fare un passo indietro e dire basta. Bryant è stato, sportivamente parlando, odiato da tutti i suoi rivali ma, nel momento del suo ritiro, ha ricevuto omaggi e applausi a scena aperta. Meriti lo stesso anche tu, Luca, in queste ultime giornate: meriti stadi che, anche da lontano, ti omaggino a suon di applausi. La Serie A non sarà più la stessa, senza te. Altre due gare e non ci resteranno altro che ricordi ed emozioni indelebili. Potremmo dire solo una cosa il prossimo quindici maggio: “the show is over: Luca Toni has left the building”.

GENNARO DONNARUMMA

redazione

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