Gli appassionati di letteratura sportiva sapranno certamente chi sia Nick Hornby; per i profani, è l’autore di romanzi come “Febbre a 90°”, in inglese “Fever Pitch”, nel quale si racconta in maniera praticamente perfetta cosa significhi, in Inghilterra, essere un tifoso al 100%, o come “Alta Fedeltà”, da cui è stato tratto il film di Stephen Frears con John Cusack, Jack Black e Catherine Zeta-Jones. Un suo scritto, forse meno conosciuto, è “Rock, Pop, Jazz & Altro. Scritti sulla musica”, nel quale racconta il suo rapporto con la musica, che per lui “è importante quanto qualsiasi altra cosa che non abbia due gambe (e infinitamente più importante di qualsiasi cosa con quattro)”.
Volendo in un certo senso imitarlo, cerchiamo di vedere a che genere musicale possono essere accostate le quattro squadre in semifinale di Champions League, che tra domani e dopodomani si giocheranno la possibilità di esibirsi sullo straordinario palco di San Siro, in quella che è l’ultima tappa del tour più importante del mondo (perlomeno calcistico).
RED FLOYD – Iniziamo dai “Bayern”, la band di progressive rock proveniente da Monaco di Baviera. Josep Guardiola e i suoi “musicisti” interpretano (ormai da tre anni) un genere spesso non capito, ma sicuramente dal livello tecnico altissimo. Quel “tiqui-taca”, per anni praticato nel suo precedente gruppo (gli “Azulgrana” di Barcellona), che ha sempre entusiasmato gli addetti ai lavori ma ha spesso seminato perplessità nei confronti del grande pubblico, che sembra non gradire queste lunghissime esibizioni di tecnica individuale, tanto da “contestare” il talentuoso mister, in procinto di cambiare aria. Se proprio dovessimo accostare al Bayern una band e un singolo, la scelta potrebbe ricadere sui Pink Floyd (in questo caso, “Red Floyd”) e su “Another Brick in the Wall”, dato che una finale conquistata sarebbe, infatti, l’ennesimo mattone di un grandissimo muro.
HIGHWAY TO MILAN – A sfidare i “Bayern”, ecco i “Colchoneros” di Madrid. Questo gruppo di hard rock, che può contare su un frontman d’eccezione come Diego Pablo Simeone, per gli amici (ma anche per i nemici) “El Cholo”, ha fatto della spettacolarità (del suo mister) e dei ritmi grintosi il suo marchio di fabbrica. Una squadra in cui tutti sono importanti, ogni singolo giocatore (o soldato, per dirla con le parole del Cholo) può e deve contribuire alla canzone finale; una canzone che è un manifesto di protesta, contro il calcio dei potenti, lo strapotere economico, la monotonia di quelli che sono abituati a vincere. I “Colchoneros” di Simeone, spinti da un pubblico appassionato e accanito, vogliono proseguire lungo la loro “Highway to Hell”, o meglio “to Milan”, riprendendo la famosa canzone degli AC/DC.
FAB FOUR – Sempre a Madrid, ma di tutt’altra pasta, sono i “Merengues”. Qui voglio anticipare la band e il brano: The Beatles e “Let It Be”. I Beatles perché anche da questa sponda di Madrid ci sono i “Fab Four”: c’è Karim Benzema che, tra un problema di gossip e l’altro, riesce a trasformare in oro tutto quello che tocca; c’è Gareth Bale, che sta facendo rimangiare gran parte delle polemiche suscitate dalla cifra (è il caso di dire “Galactica”) del suo acquisto; c’è Zinédine Zidane, che dopo l’addio di Benitez è riuscito a dare una forma (solida) a una squadra che era entrata in crisi, portandola a giocarsi una finale di Champions e momentaneamente a un punto dalla vetta della Liga; ma c’è soprattutto Cristiano Ronaldo, il John Lennon di questo Real, “The One Man Band”, il singolo capace di cambiare le sorti di un’intera squadra. “Let It Be” perché non si può sapere come finirà, questa band. Come i quattro ragazzoni di Liverpool cantarono una delle loro maggiori Hit dal tetto dello studio di Abbey Road, allo stesso modo quello di San Siro potrebbe essere il palco dal quale si divideranno le strade del Real e di CR7, invogliato dalle sirene francesi del PSG, in cerca del dopo-Ibra, e da quelle inglesi del Manchester United, per riproporre, ancora una volta, il duello con il rivale Pep Guardiola.
SINGIN’ IN THE RAIN – Ultimo, ma non per importanza, il gruppo dei “Citizens”, con il loro maestro Manuel Pellegrini. Inizialmente pensavo di associarli al Britpop, conoscendo la passione dei fratelli Gallagher, leader degli Oasis, per la squadra in blu di Manchester. Invece ho scelto il jazz, per diversi motivi. Anzitutto, l’età del coach: Pellegrini, infatti, è l’unico dei tre mister ad essere nato fuori dagli anni ’70 (nel 1953, per la precisione), risultando quindi il più “vecchio”, esattamente come lo stile musicale. Inoltre, per chi non lo sapesse, il jazz è fatto di cambiamenti di ritmo sorprendenti, dettati dall’improvvisazione: allo stesso modo la squadra, in campo, si comporta in modo imprevedibile, alternando mirabolanti vittorie (tra cui quella contro il PSG, ampiamente più quotato) a incredibili sconfitte (come il 4-2 subito, nell’ultimo turno di campionato, dal Southampton). Altro motivo è il fatto che i “Citizens” spesso sono risultati lontani dai vertici delle classifiche, esattamente come il jazz, e hanno così ottenuto un pubblico molto élitario. Più che un gruppo, a loro preferisco associare una (famosissima) canzone: “Singin’ in the Rain”. La celebre hit di Gene Kelly, appartenente all’omonimo film, rispecchia esattamente cosa voglia dire essere del Manchester City: cantare, sotto la pioggia, sempre e in ogni modo. E chissà che, in questa incredibilmente fredda e piovosa primavera italiana, non siano poi loro a cantare, verso il cielo di Milano.
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