“Che ci faccio qui? Che stiamo facendo? Ho ancora negli occhi il massaggio cardiaco praticato inutilmente a Roland. Eppure dobbiamo andare avanti, in fondo cosa sono i piloti rispetto al business del circo? Zero, questo sono! I commissari hanno persino aperto un procedimento disciplinare nei miei confronti, solo perché ieri mi sono permesso di andare alla Villeneuve a vedere come sia potuto accadere. Non è giusto. Ma la colpa è anche mia, forse è soprattutto mia. Sono l’unico campione del mondo, questa è la mia 65a pole, significa che ho creduto più di tutti in questo sistema, in questa logica. Ma io… io sono un uomo, e mi sento l’ultimo pur essendo in pole position. E se accade qualcosa di brutto, di irreparabile? In fondo può accadere, ieri è accaduto, il rischio è concreto. Perché dare questo dolore immenso ai miei cari, perché? Sono dieci anni che sono in ansia per me ogni domenica! No, non esiste! Adesso mi slaccio le cinture ed esco dall’abitacolo! Non voglio correre più! Voglio solo abbracciare Adriane! Oddio, ma che succede? Oddio, questo motore Renault è orgasmico, che brivido! Sì, la macchina è stretta, mi dà noie, ma il motore… che musica! Mi sento rinascere! Oddio, voglio… insomma, io voglio correre! Sì, voglio correre! Se sto qui, significa che amo il rischio a tal punto da esserne dipendente. Non voglio smettere affatto! Ma come ho fatto anche solo a pensarlo! La mia vita sono le corse, soprattutto le corse vinte. Devo vincere, devo dedicare la vittoria a Ratzenberger, è l’unico modo per ricordarlo, perché da domani non ne parleranno più! Quanto a me, ho vinto tre titoli iridati, Fangio è a sole due lunghezze, sono venuto alla Williams per questo, no? Che impazienza! Poi c’è questo sbarbatello tedesco che ha vinto le prime due gare e si sente già il titolo in tasca. Non sa quanto si sbaglia! Adesso lo rimetto a posto io, gli spiego per bene il significato della parola ‘campione’ e il rispetto per i più ‘anziani’. Che impazienza, non sto nella pelle! Ma non possono abolire il giro di ricognizione? Che palle! Dai, semaforo, fatti verde! E’ ora di vincere, io sono Ayrton Senna!”
Insomma, è stato un uomo incline alla riflessione, ha utilizzato anche la testa. Quella testa che i piloti di oggi faticano a far emergere dalle monoposto, che, anche per ragioni di sicurezza (soprattutto dopo i tragici eventi del ’94), sono diventate totalizzanti. Ormai pensano per loro. Sono loro a guidare i piloti e non viceversa. E i piloti, una volta scesi dalla macchina, sempre se si riesce a distinguerli, non ‘dicono’ nulla nella maggior parte dei casi. Non che debbano farlo per forza, sia chiaro, ma il fatto è che Senna aveva abituato troppo bene tutti coloro che hanno avuto il privilegio di ascoltarlo, soprattutto nei suoi ‘attacchi’ alla normalità, cosa che trascendeva continuamente con la sua componente mistica, filosofica, esistenziale che lo ha reso un personaggio unico e interessante con pochi eguali nella storia dello sport. Ed è per questo che non si è limitato ad essere un pilota, un pilota vincente, un collezionista di vittorie (41), di mondiali (’88, ’90, ’91) e pole position (65), assolutamente no. E’ stato molto di più.
E’ stato un uomo che ha espresso se stesso. E’ stato Ayrton Senna.
Luigi Fattore
This post was last modified on 29 Settembre 2016
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