Contigo a la final, un respiro lungo novanta minuti, l’ennesima tacca per Diego Pablo Simeone e i suoi guerrieri. Buona la prima, anche lo scalpo del Bayern Monaco di Pep Guardiola nella collezione dei Colchoneros, solidi e implacabili, a modo loro unici. In grado di ingabbiare l’attacco dei bavaresi, una macchina da 29 reti in 10 gare di Champions, a secco – prima della sfida in terra iberica – solo una volta: all’Emirates, era il 20 di ottobre, terza giornata del girone F. Il miglior regalo possibile per il quarantaseiesimo compleanno del tecnico argentino.
Tutto d’un fiato. Semifinale di Champions, un groviglio di emozioni, brividi per i 55.000 cuori pulsanti del Vicente Calderòn, il tempio del Cholismo dove nulla è illusione, dove il sogno è sempre pronto ad accelerare sui binari e mutare nella più fulgida, splendente, delle realtà. Boato ed ovazione, come per il capolavoro di Saul Niguez, cantera madridista fino alle porte dell’adolescenza, orgoglio e sangue Atleti, mano sul cuore. Goiellino della metà campo plasmato dal Cholo in un volante dalle qualità indicibili per dinamismo, applicazione e talento, tanto, da riempirsi gli occhi. Se qualcuno paventava, ancora, il minimo dubbio sulla stoffa del classe ’94 nativo di Elche beh, che dire, riavvolga il nastro all’undicesimo di gioco di questa semifinale d’andata e taccia per sempre. Thiago, Xabi, Bernat come birilli, il malcapitato Alaba accomodato a mò di porta in uno slalom gigante e, per concludere, un mancino a giro dolcissimo lasciando a Neuer l’onore di raccogliere la palla nel sacco. Atletico Madrid-Bayern è stato questo e molto, molto altro ancora. Un susseguirsi di cambi di fronte e ritmi vertiginosi, se Manchester City-Real aveva raccontato sbadigli, lo scontro del Vicente Calderòn ha riconciliato gli amanti del gioco con ciò che la massima competizione europea è in grado di offrire. Ritmo ossessivo, giocate da antologia, strappi vertiginosi, legni e salvataggi in extremis. Uno spot lungo novanta minuti in attesa del confronto finale dell’Allianz Arena. Sfida alla quale i rojiblancos arriveranno con un primo round a proprio vantaggio e con un clean sheet tra le mura amiche su cui impostare la strategia in terra tedesca. E con il Faraone, Diego Godin, pronto a ricollocarsi al centro della retroguardia, particolari non da poco in una doppia sfida che resta apertissima.
L’obiettivo. Un’impresa contro il potenziale offensivo atomico dei panzer tedeschi rimodellati nell’ideale di Guardiola. Niente da fare: come l’allievo, Luis Enrique, prima di lui, anche Herr Pepp e la sua truppa sono costretti ad issare, altissima, la bandiera bianca sulle rive del Manzanarre. Varianti del tiki-taka che si avvicendano e si inchinano. Il Vicente Calderòn come la Valle di Elah, giganti al suolo al cospetto del Cholo e del suo incredibile gruppo. Corsa, applicazione, metodo italiano e garra tutta argentina, sulle ali dei dettami di Simeone ogni desiderio è lecito, per la storia non resta che attendere. Una certezza, statuaria: Lisbona è una ferita ancora aperta, sanguina, fa male. Ossessione dovuta per chi quella coppa l’ha accarezzata fino ad un soffio dall’arrivo. L’appuntamento con il destino, direzione Milano, è più vicino.Resta un ultimo ostacolo… hasta la final.
Edoardo Brancaccio
This post was last modified on 28 Aprile 2016
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